Ecco una di quelle storie che mi ha colpita molto; ecco un personaggio storico che mi ha incuriosita e che mi ha fatto commuovere, mentre leggevo le vicende della sua vita. Mary Stuart – italianizzata in Maria Stuarda – fu regina di Scozia dal 1542 al 1567. La sua esistenza è caratterizzata da una serie di sfortunati eventi, momenti di grande potere e gioia alternati a situazioni drammatiche, omicidi ed inganni, amori ed intrighi di corte. È la storia di una donna che ha lottato per tutta la vita per difendere il suo diritto a governare un paese che non le assomigliava affatto, che ha affrontato prove terribili per riuscirci, che ha commesso errori che hanno irreparabilmente segnato il suo destino. Cercherò di riassumere brevemente la storia della sua vita basandomi sulla biografia edita da Stefan Zweig (1881-1942), scrittore e poeta austriaco naturalizzato britannico e del quale ho adorato lo stile della scrittura.
MARY STUART QUEEN OF SCOTS
Parte 1 (1542-1561)– L’infanzia e l’adolescenza in Francia
È il 19 dicembre 1542. Giacomo V, Re di Scozia, giace in fin di vita nel palazzo di Falkland, ferito nel corpo ma ancor più nell’anima a seguito della sconfitta di Solway Moss per mano dell’esercito inglese. Il suo fu un regno caratterizzato dalle lotte religiose con il vicino Enrico VIII d’Inghilterra che insisteva per introdurre la Riforma Protestante in Scozia ma che incontrò sempre la ferma opposizione del cattolicissimo casato degli Stuart. Proprio nelle ultime ore della sua vita, quando Giacomo era ormai convinto di morire senza lasciare eredi (i suoi due figli erano morti ancora in fasce) ecco arrivare in fretta un messaggero ed annunciare che, al palazzo di Linlithgow, sua moglie Maria di Guisa ha dato alla luce una figlia (l’8 dicembre 1542).
Mary, Queen of Scots When an Infant by Benjamin Haydon
La piccola Mary Stuart ha solo 6 giorni di vita ed è già regina di Scozia. È ancora ignara del destino che la aspetta, dei tormenti, delle continue prove che incontrerà durante la sua sfortunata esistenza. Già così piccola si porta sulle spalle il peso gravoso di una Scozia povera e dilaniata dalle lotte interne e con la vicina Inghilterra e viene coinvolta in un gioco di interessi politici che inizia poco dopo che è venuta al mondo. Appena ricevuta notizia della sua nascita Enrico VIII decide di chiedere al più presto la sua mano per il figlio ed erede Edoardo, con l’intento di unire le due dinastie Stuart e Tudor nell’ottica di una Gran Bretagna unita. Enrico esige che Mary venga trasferita immediatamente in Inghilterra e, in una clausola nascosta del contratto, inserisce la condizione che in caso di morte prematura della bambina il regno passi proprio nelle sue mani. Ovviamente la madre di Mary, la cattolica francese Maria di Guisa,si oppone fortemente al contratto: per uno come Enrico VIII, che ha già fatto decapitare due delle sue mogli, sarebbe stato estremamente facile uccidere la bambina con lo scopo di impadronirsi il più in fretta possibile della sua importante eredità. Il re inglese non prende bene questo rifiuto e risponde inviando un esercito per catturare la preziosa giovane regina che tuttavia viene messa in salvo nel castello di Stirling. A questo punto non gli resta che fare un passo indietro ed “accontentarsi” di un patto in cui la Scozia si impegna a consegnare Mary Stuart il giorno del suo decimo compleanno.
Nell’800 la Scozia conobbe un rapido sviluppo delle sue prime industrie, in particolare quelle tessili e della lavorazione del ferro e del carbone. Se il Nord rimaneva destinato alla pastorizia e a fornire manodopera, le grandi città come Glasgow ed Edimburgo conoscevano successi e splendori, divenendo centri molto importanti di diffusione della cultura illuministica. Edimburgo in particolare, l’ex capitale del regno di Scozia, venne definita “l’Atene del Nord” per la sua attività letteraria, filosofica e scientifica.
La sempre maggiore richiesta di manodopera per le industrie inglesi e scozzesi favorì l’immigrazione soprattutto di irlandesi in cerca di lavoro e la Scozia divenne così una delle principali mete del grande flusso migratorio irlandese che caratterizzò questa epoca.
Nel corso dell’800 iniziava anche il lento risveglio della cultura gaelica grazie a scrittori come Sir Walter Scott, che contribuirono a diffondere un’immagine romantica, tradizionale e folcloristica della Scozia, in contrapposizione a quella inglese, capitalista e moderna. Grazie al lavoro di questi intellettuali si riaccese, dopo oltre un secolo dalla fine del sogno giacobita, lo spirito di nazionalismo di molti scozzesi. Nel 1860 fu eretto a Stirling un monumento a William Wallce e negli anni seguenti si fondarono sempre più associazioni e gruppi di rivendicazione dei diritti degli scozzesi, assistendo a iniziative di protesta sociale che si bloccarono però con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, che portò una grave crisi economica ed occupazionale che peggiorò ulteriormente con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale. Fu negli anni ’70 che l’economia scozzese tornò a prosperare con la scoperta del petrolio nel Mare del Nord.
Ritratto di Sir Walter Scott, di Henry Raeburn, datato 1820
Dopo 250 anni di dominazione da Londra, alcuni scozzesi cominciarono a pensare che fosse giunta l’ora di tagliare le catene che li tenevano legati all’Inghilterra e creare una Scozia indipendente, come era successo in Irlanda. Tuttavia, una vasta maggioranza della popolazione credeva ancora nel concetto di Gran Bretagna, e di unione con l’Inghilterra.
L’11 settembre 1997, esattamente 200 anni dopo la vittoria di William Wallace a Stirling Bridge, si è svolto il Referendum a favore dell’autonomia e la costituzione di un Parlamento Scozzese. Un tentativo analogo era stato fatto nel 1979, ma, nonostante la maggioranza dei votanti si fosse espressa per il si, non si ottenne il quorum necessario. Al contrario, il Referendum del 1997 è stato un successo clamoroso: il 74,3% dei votanti si è espresso a favore dell’autonomia. In seguito, nel 1999 si sono svolte le prime elezioni scozzesi ed è stato inaugurato, dalla Regina Elisabetta II, il Nuovo Parlamento che è entrato nel pieno delle sue funzioni il 1° gennaio 2000.
Propaganda a favore dell’indipendenza parlamentare scozzese
L’anno scorso, il 2014 ha visto un altro importante appuntamento per la storia scozzese. Il 18 settembre si è svolto il Referendum per l’indipendenza della Scozia, con il quale si è deciso se il Paese dovesse separarsi o meno dal Regno Unito per diventare uno Stato Indipendente. Alla domanda “Should Scotland be and indipendent contry?” il 55,3% dei votanti ha risposto No, mentre il restante 44,7% era per dalla parte del SI. Il totale dei votanti è stato del 97% degli aventi diritto al voto. L’agognata indipendenza, la libertà tanto cercata da Wallace, da Bruce, dagli ultimi Stuart, anche questa volta non è stata raggiunta.
La Scozia oggi rimane parte integrante del Regno Unito, ma la maggior parte delle decisioni locali vengono prese nel cuore di Edimburgo, piuttosto che a Londra.
Si narra una strana leggenda nelle Highlands. Si dice che nell’agosto del 1748 undici persone, uomini e donne, ebbero in una valle non lontana da Aberdeen, una straordinaria visione collettiva. Dei grandi globi di luce apparvero nel cielo del pomeriggio, e nel loro interno si intravedevano degli eserciti: il primo era composto da uomini con divise scure e che innalzavano come vessillo la croce di S.Andrea, l’altra armata aveva divise rosse e levava la bandiera britannica. Per due volte gli uomini vestiti di blu furono attaccati ferocemente, ed in entrambi i casi respinsero gli assalitori. Alla terza volta l’esercito con la croce sbaragliò i nemici per metterli in fuga. La visione si dissolse nel cielo mentre i vincitori urlavano di gioia per il loro trionfo. Forse, dopo tutto, la storia futura della Scozia, paese orgoglioso, fiero e bellissimo, nasconde un risvolto che molti, per centinaia di anni, hanno sognato e per il quale hanno lottato a costo della propria vita.
Un sostenitore dell’indipendenza scozzese cammina lungo una deserta via di Edimburgo dopo la diffusione dei risultati del referendum del 2014
I clan erano pronti a radunarsi, e lo fecero il 19 agosto a Glenfinnan, una piana all’estremità del Loch Shiel. Nelle valli si diffuse il segnale di guerra, la croce infuocata, e ogni giacobita che si metteva in marcia indossava la coccarda bianca, emblema della causa: Charles innalzò nel cielo il vessillo reale, al suono delle cornamuse, e venne nominato principe di Galles, Reggente dei regni di Scozia, Inghilterra e Irlanda. Gli uomini fedeli che prendevano le armi a favore del principe aumentavano di giorno in giorno: si presentarono a Glenfinnan i MacDonald, i Cameron, gli Stewart, i Fraser, i Gordon, i MacGregor e tutti gli uomini che decisero di lasciare il lavoro nei campi per inseguire il loro sogno di gloria.
I vessilli vengono innalzati a Glenfinnan
L’entusiasmo e la fermezza nei loro princìpi condusse l’esercito giacobita di vittoria in vittoria: se all’inizio si trattava solo di vittorie in piccole battaglie, ben presto Charlie iniziò un’esaltante, epica marcia verso sud, riuscendo a conquistare Perth ed Edimburgo, senza incontrare particolare opposizione. La prima battaglia vera e propria avvenne il 21 settembre nei pressi di Prestonpans, poco distante dalla capitale, dove ad attendere i giacobiti c’era un distaccamento dell’esercito inglese comandato da Sir John Cope. Gli Highlander durante la notte aggirarono l’esercito nemico, avanzando silenziosamente attraverso le paludi, e rimanendo in attesa nascosti tra l’erica e i cespugli di ginestrone: al sorgere dell’alba le truppe del principe si avventarono sugli uomini di Cope, in una carica devastante, accompagnati dal suono di tamburi e cornamuse. Nella nebbia mattutina gli inglesi videro comparire un esercito di scozzesi urlanti simili a demoni e si diedero alla fuga. La scozia era libera!
Battaglia di Prestonpans: “the Riggonhead Night March” di Andrew Hillhouse.
Dopo questo grande trionfo il Principe Charlie dimostrò chiaramente il suo carattere tollerante ed equanime: invitò i suoi uomini a moderare i festeggiamenti, ad avere pietà dei vinti e a non infierire sui connazionali delle Lowlands che avevano collaborato col nemico. L’ammirazione verso Charlie e l’orgoglio di sostenere la sua causa crescevano sempre di più, e sempre più innumerevoli ballate celebravano il sovrano buono, gentile e magnanimo. Tuttavia, all’apice dell’entusiasmo e della forza, Charlie ed i suoi consiglieri presero una decisione che si rivelò fatale e decisiva per gli eventi tragici che seguirono.
Le truppe inglesi si stavano riorganizzando a sud e progettavano un’invasione della Scozia. Fu quindi presa la decisione di portare la guerra in Inghilterra, avanzando se necessario anche fino a Londra. All’inizio dell’autunno quasi 10.000 soldati delle Highlands iniziarono la marcia verso sud per ritrovarsi, in poco più di un mese, a Derby, distante poco più di 160km da Londra. L’avanzata era costata parecchio, in termini di perdite umane e materiali: si era in inverno ed il freddo, la carenza di provviste per sfamare gli uomini, la lontananza dalle proprie case, avevano abbassato il morale delle truppe. Gli aiuti promessi dalle potenze europee tardavano ad arrivare, e anzi, non arrivarono affatto. Pensandoci ora, chissà come sarebbe cambiato il corso degli eventi del ‘700 se solo i sovrani cattolici europei avessero appoggiato gli Stuart. Interessanti sono le parole dello scrittore Compton MacKenzie:
“La storia del mondo fu cambiata dalla decisione fatale di quel mattino di dicembre… Con un sovrano come Charles sul trono le colonie americane non si sarebbero mai staccate, la Rivoluzione Francese non avrebbe potuto avvenire… Il lungo martirio dell’Irlanda sarebbe stato fermato. Il declino della Scozia in un’appendice provinciale della Britannia sarebbe stato evitato, e la tolleranza religiosa realizzata. Non avrebbe avuto luogo la spoliazione dei poveri da parte del cinico industrialismo” (C.MacKenzie, Prince Charlie p.74).
The Entrance of Prince Charles Edward Stuart to Edinburgh after Prestonpans – l’entrata di Charles Edward Stuart ad Edimburgo dopo la battaglia di Prestonpans, by Thomas Duncan (1838)
Una volta arrivati a Derby, e contro il volere del Principe, il consiglio, convinto da Lord George Murray, secondo in comando, decise di ritornare in Scozia per attendere rinforzi. Sebbene Londra distasse ormai solamente poco più di 100 miglia e la città fosse in grande inquietudine per le notizie che circolavano riguardo ad un grande esercito francese imbarcato sulle coste di Calais e già in rotta attraverso il Canale della Manica, e di numerosi rinforzi giacobiti in arrivo dal Galles e dalle contee della stessa Inghilterra, il 6 dicembre fu ordinata la ritirata. Il rientro in Scozia si svolse in condizioni ambientali difficilissime, nel fango e nella neve, e sotto il costante attacco degli inglesi, tanto che l’esercito giacobita fu progressivamente respinto sempre più a Nord, passando da una sconfitta all’altra e perdendo molti uomini lungo il percorso. L’esercito inglese era composto da due armate di circa 10.000 uomini ciascuna, comandate rispettivamente dal Generale Wade e dal Duca di Cumberland, figlio del re Hannover. Assieme a loro combattevano anche quegli scozzesi filo-inglesi noti come “The Black Watch”, la Guardia Nera, per via dei loro tartan scuri.
Il duca di Cumberland
Accampatosi nei pressi di Stirling, alla porta delle Highlands, l’esercito di Charles riuscì a conquistare un’altra vittoria, l’ultima, nella Battaglia di Falkirk, a fine gennaio 1746. Successivamente, seguendo ancora una volta in consiglio di Lord Murray e non quello del suo segretario John Williams O’Sullivan, il Bonnie Prince si ritirò verso Inverness, dove rimase per sette settimane a svernare. La situazione stava peggiorando, le truppe inglesi si erano riorganizzate e marciavano verso Inverness: la fine era vicina. Gli uomini erano stanchi, affamati, demoralizzati. Il loro sogno di gloria e libertà ormai lontano, le vittorie iniziali cancellate dalla lunga ritirata che li aveva provati profondamente. Venne deciso di mettersi in cammino per andare incontro all’esercito inglese, intraprendendo una marcia forzata di 12 km durante la notte.
Il 15 aprile 1746 l’esercito giacobita era schierato a Drumossie, ma la giornata si concluse senza combattimenti. Era infatti il compleanno del duca di Cumberland e l’esercito inglese ebbe una doppia razione di brandy e rimase a festeggiare nel proprio accampamento. I giacobiti non sfruttarono l’occasione favorevole per attaccare, perché intenti a discutere quale fosse il campo di battaglia più favorevole: il principe Carlo Edoardo e O’Sullivan sostenevano l’attacco nella brughiera, mentre – e a ragione – Lord Murray riteneva che il campo aperto avrebbe dato un grande vantaggio agli inglesi e alla loro artiglieria. Infatti, il duca di Cumberland poteva contare su ben 16 cannoni. Queste discussioni durarono tutto il giorno, mentre le truppe giacobite rimanevano schierate immobili, preda di freddo e fame. A notte inoltrata, fu ordinato un attacco al campo inglese, che fu però respinto. Demoralizzati, affamati e sconcertati dall’assurda gestione della situazione da parte dei loro comandanti, i soldati giacobiti si ritirarono, senza avere la possibilità di riposarsi durante la notte. Alcuni, stremati, si gettarono in preda al sonno lungo la strada e vennero sorpresi e massacrati da picchetti di soldati inglesi.
Drumossie Moor, la brughiera dove venne combattuta la battaglia di Culloden, con la pietra commemorativa dei Clan caduti.
All’alba del 16 aprile 1746 Charles schierò nuovamente il suo esercito che consisteva in poco più di 5000 uomini armati alla bell’è meglio con spade e asce, e 13 piccoli e vecchi cannoni da campo. Gli Highlanders si disposero in ordine per clan formando due linee, mentre in riserva stava la debole cavalleria di Lord Kilmarnock e le truppe franco-irlandesi. Essi conoscevano una sola tattica, la selvaggia carica che portava ad una mischia furibonda in cui la forza fisica e il coraggio dei singoli decidevano l’esito dello scontro.
L’esercito del Duca Cumberland (soprannominato in seguito The Butcher, il macellaio) contava su più di 8000 uomini dei reparti d’èlite inglesi, uomini addestrati, organizzati, equipaggiati con moschetti e baionette, schierati su tre file: I lati erano protetti dalla cavalleria, mentre l’artiglieria, ben più potente di quella a disposizione dell’esercito giacobita, era schierata negli spazi tra i vari battaglioni. Infine, sul lato sinistro dello schieramento erano posizionati tre battaglioni di scozzesi fedeli alla casata degli Hannover, che costituivano la milizia dell’Argyll; questi ultimi dovevano, secondo i piani inglesi, accerchiare l’esercito ribelle, prendendolo di lato.
La disposizione degli eserciti di Charles Stuart e del Duca di Cumberland nella battaglia di Culloden
Lo scontro non fu la battaglia epica, cavalleresca, eroica che Charles sognava. La Battaglia di Culloden si risolse in uno spaventoso massacro degli Highlanders. Le linee giacobite si spaccarono quasi immediatamente in due sotto il tiro terrificante dell’artiglieria pesante inglese e in poco meno di un’ora l’armata del Bonnie Prince fu sterminata, in un bagno di sangue. Circa 1.250 giacobiti giacevano morti sul campo di battaglia, altrettanti erano rimasti feriti in modo più o meno grave ed erano stati presi molti prigionieri, che furono poi processati per alto tradimento e, gran parte di loro, impiccati. Gli inglesi avevano perso circa una cinquantina di uomini ed i feriti erano 259. Terminata la battaglia, il Duca di Cumberland diede ordine di massacrare tutti i feriti rimasti sul campo e di inseguire e catturare i fuggiaschi: quelli che furono trovati subito vennero uccisi, così come le persone che avevano prestato loro aiuto e protezione; case e fattorie vennero incendiate, accompagnate da una moltitudine di stupri e di rapine; molti giacobiti vennero invece catturati, portati in Inghilterra e stipati in prigioni disumane, torturati, affamati, umiliati, lasciati morire di stenti. Avevano giurato di combattere e morire per il loro bel Principe, e così avvenne. Uno dei suoi uomini, un MacDonald di Tirnadris, dichiarò prima di salire sulla forca:
“penso che sia mio obbligo informare il mondo che era mio preciso dovere davanti a Dio, al mio Re offeso e al mio Paese oppresso, prendere le armi sotto lo stendardo e la nobile guida di Sua Altezza Reale, il Principe Charles. Io dichiaro solennemente di non aver avuto altri fini in questa giusta ed onorevole causa che quelli di restaurare il diritto al trono del nostro sovrano, di restituire la libertà a questo infelice Paese a lungo travagliato dall’usurpazione, dalla corruzione, dal tradimento e dalla fellonia; cosciente che nulla se non il ripristino del Re poteva far rifiorire la nostra terra, collaborare al bene comune di ogni uomo di qualsiasi rango e liberare sia la Chiesa che lo Stato dalle nefaste conseguenze dei princìpi della Rivoluzione […]. Ma io qui dichiaro solennemente sull’onore di un uomo che deve morire, che non è stato il progetto di imporre con la forza la mia religione alla nazione che mi ha portato a militare sotto la bandiera del Principe, ma unicamente il dovere di servire chi solo ha il diritto per legge naturale, di regnare, qualunque sia la religione della sua famiglia, fosse pure musulmana” (C.McKenzie, Prince Charlie, pag.53)
Rebel hunting after Culloden – caccia ai ribelli dopo Culloden, dipinto del 1884
Molteplici furono gli errori tattici a Culloden, determinati dalla stanchezza, dalla confusione o dall’improvvisazione. Il principale errore fu di combattere in campo aperto, su un terreno acquitrinoso nel quale i soldati a piedi affondavano fino al ginocchio, e dove viceversa la cavalleria inglese poteva muoversi rapidamente. Inoltre, in attesa dell’ordine di attacco la lunga linea di highlanders subì delle perdite molto consistenti ed il morale cominciò a precipitare. Il Principe Carlo attese molto tempo prima di dare il segnale di attacco, poiché, trovandosi distante dalla prima linea, non si era reso conto di quante vittime stesse facendo l’artiglieria inglese tra le sue fila. Quando finalmente i ribelli si decisero ad attaccare, i MacDonald si rifiutarono di eseguire l’ordine, infuriati per essere stati disposti sul fianco sinistro dell’armata ignorando la loro tradizionale posizione sul fianco destro. Questa insubordinazione fece sì che solo una parte delle forze giacobite prese effettivamente parte alla battaglia.
Dipinto a olio di David Morier che ritrae la battaglia di Culloden
Culloden si concluse in un’enorme mattanza. Da questa disfatta la Scozia uscì definitivamente vinta e umiliata: l’indipendenza perduta, la Chiesa Cattolica brutalmente perseguitata, la cultura delle Highlands distrutta.
E il Bonnie Prince, che per il suo sogno di gloria vide morire i suoi fedeli Highlanders? Charlie riuscì a mettersi in salvo e per oltre cinque mesi visse da fuggiasco, braccato dagli inglesi. Gli scozzesi non lo abbandonarono, e nonostante la ricca taglia sulla sua testa, nessuno lo tradì, anzi: molti di quelli che lo aiutarono, ospitandolo o nascondendolo, finirono sul patibolo. Tra coloro che si prodigarono per la salvezza del principe, la più conosciuta e la più temeraria fu certamente Flora MacDonald (trovate la sua storia qui), diventata una vera eroina scozzese, che aiutò Charles ad imbarcarsi sull’Isola di Skye verso la sicurezza del Continente. Era il 19 settembre 1746: dopo poco più di un anno dal suo arrivo in Scozia, Charles Edward Stuart, ultima speranza di libertà per il suo popolo, tornava in Francia, lasciando dietro di sé una scia di morte e persecuzione, che, nella battaglia di Culloden, era solo all’inizio.
‘Lochaber No More’, Prince Charlie Leaving Scotland -John Blake MacDonald 1863. Il Principe Charles lascia la Scozia dopo la sconfitta di Culloden
Per orgoglio, per testardaggine, per disperazione, tentò di riorganizzarsi per un altro attacco sfruttando l’esercito francese, ma non ricevette nessun appoggio da Luigi XV che anzi, dopo aver riallacciato i rapporti con la Gran Bretagna, firmò un decreto di espulsione degli Stuart. Charles fu costretto a tornare a Roma, e non vide mai più la Scozia. Col passare del tempo il giovane principe divenne un uomo ferito, malinconico, con una certa inclinazione all’alcool. Ebbe un matrimonio infelice che non gli lasciò eredi ed infine morì, nel 1788 tra le braccia della figlia illegittima Charlotte, segnando la fine della dinastia degli Stuart. Come segno di gratitudine verso l’Italia, nazione che lo accolse durante il suo ultimo esilio europeo, Charles diede il permesso agli italiani di indossare il kilt con il tartan reale (Royal Stewart Tartan). Nei pressi di Glenfinnan, dove per la prima volta si riunì l’esercito giacobita e dove il sogno di gloria ebbe inizio, una targa d’ottone recante l’iscrizione “Charles Edward Stuart, R.I.P.”, appesa al muro di una piccola chiesa, ricorda l’impresa del Principe. La porta occidentale della chiesa di St Mary and St Finnan è sempre aperta, nel caso in cui lo spirito del Bonnie Prince Charlie dovesse ritornare nella sua amata Scozia.
Ritratto di un vecchio Charles Edward Stuart, eseguito da Hugh Douglas Hamilton nel 1785
Nonostante tutto, gli Stuart e i loro irriducibili sostenitori nelle Highlands, tentarono nel corso degli anni successivi all’Act of Union di restituire alla Scozia la propria libertà ed al loro re in esilio il suo trono. I due tentativi, che avvennero nel 1715 e nel 1745, sono ricordati come Rivolte Giacobite. Il termine giacobita deriva dal latino Jacobus, che significa Giacomo, e sta quindi ad indicare chi era sostenitore del ritorno del Re in esilio: un termine che in Scozia diventò presto, e rimase a lungo, sinonimo di patriota e di cattolico. Dato il loro drammatico esito, le rivolte giacobite rappresentarono il momento più epico e tragico della civiltà gaelica delle Highlands poiché insieme al sogno degli Stuart fu distrutta anch’essa.
Il primo tentativo di ritorno del re esiliato era stato abbozzato immediatamente dopo l’atto di Unione: Giacomo III, detto il vecchio pretendente, con l’appoggio del re Luigi XIV, salpò con una flotta di navi alla volta della sua terra scozzese ma il pessimo tempo impedì lo sbarco e dovette far ritorno in Francia. Si trattò solo della prima di una lunga serie di circostanze e coincidenze avverse alla causa degli Stuart, ed è incredibile notare, durante tutti gli anni seguenti e fino al 1746, l’enormità e la quantità di sfortuna che essi ebbero durante il loro tentativo di rivolta (permettetemi, più di una volta leggendo mi è venuto spontaneo esclamare “eh ma che sfiga però!!!”. Continuate a leggere e capirete!).
Ritratto di James Edward Stuart, “il vecchio pretendente” (1718, Antonio David)
Si deve attendere fino al 1715 per assistere alla prima delle due grandi rivolte giacobite, definita “the fifteen”. L’organizzazione della rivolta in Scozia fu affidata al nobile John Erskine Conte di Mar, un politico che era entrato a far parte del neo costituito Parlamento, ottenendo il ruolo di Segretario di Stato per la Scozia, ma che decise di sostenere la causa giacobita. Dopo aver intrattenuto una corrispondenza con il vecchio pretendente, al Conte di Mar fu ordinato di richiamare i Clan scozzesi, innalzando lo Stendardo Reale il 6 settembre a Braemar, nel cuore delle Highlands, e proclamando Giacomo III come loro legittimo sovrano. Con lui c’era un esercito di 12.000 uomini del Nord e alcuni nobili delle Lowlands. In poco meno di un mese i giacobiti occuparono il territorio che va da Inverness a Perth, controllando una lunga fascia costiera che doveva offrire una facile possibilità di sbarco. Giacomo attendeva in Francia di imbarcarsi con un forte esercito promessogli dall’antica alleata. Ma l’8 settembre, due giorni dopo l’inizio della rivolta, re Luigi XIV morì, e il Reggente Duca d’Orlèans che ne prese il posto era da tempo un sostenitore di un’alleanza con l’Inghilterra. Nonostante il mancato arrivo di aiuti, il Conte di Mar proseguì i suoi combattimenti, comportandosi in maniera valorosa: davanti a lui non c’erano solo le truppe governative, ma anche i suoi stessi compatrioti, quegli scozzesi che erano contrari al ritorno degli Stuart. Giacomo sbarcò da solo in Scozia, per cercare di riportare entusiasmo e speranza ai combattenti. Nonostante il suo nobile gesto fosse stato molto apprezzato, egli fu invitato a rimettersi immediatamente in salvo, nel Continente. Dopo la sconfitta nella battaglia di Preston, la rotta dell’esercito giacobita era inevitabile e il 4 febbraio Giacomo, assieme a Mar, salpava verso la salvezza. Diversa fu la sorte dei giacobiti che avevano combattuto per lui: la maggior parte venne imprigionata ed i capi condannati a morte per impiccagione.
Jacobites. Un gruppo di giacobiti dipinto da John Pettie (1864)
La Scozia fu fortemente punita per la Ribellione del 1715. Come tentativo di eliminare il rischio di successive insurrezioni il Parlamento inglese aveva emanato numerosi atti che tentarono di indebolire i clan delle Highlands privandoli del diritto di possedere armi di qualunque genere e riaffermando la supremazia del governo britannico. Nonostante la crescente popolarità di Giorgio I d’Inghilterra, la causa giacobita continuò a rimanere presente sul territorio britannico, sebbene in forma più privata attraverso proteste anonime, maldicenze sulla situazione coniugale del sovrano di Gran Bretagna e l’ostentazione di simboli di Giacomo III durante particolari anniversari.
Tornato nel Continente, Giacomo trovò una Francia ormai ostile alla sua causa e fu costretto a lasciare il Paese, trovando in Roma la nuova sede del suo esilio. Fu accolto con benevolenza dal Papa Clemente XI che riconobbe a Giacomo Edoardo ed alla moglie i titoli di re e regina di Inghilterra e di Scozia e concesse loro una pensione annuale di 12.000 corone. A Roma nacque, il 31 dicembre 1720, l’erede al trono, il principe Charles Edward Louis Philippe Casimir Stuart, colui che tentò una nuova rivolta giacobita nel 1745, che fu anche l’ultima impresa eroica scozzese, in cui dimostrò il suo coraggio il giovane principe che gli inglesi chiamavano “il giovane pretendente”, che nei cuori dei gaelici che tanto lo amavano era semplicemente Teàrlach, Carlo, ma che passò alla storia in leggende, ballate e canzoni come The Bonnie Prince Charlie.
Carlo crebbe in Italia, in particolare tra Roma e Bologna, e ricevette un’educazione che si confaceva ad un futuro sovrano: parlava fluentemente italiano, francese, inglese, spagnolo e coltivava interessi artistici (suonava molto bene il violino) e storici. I suoi educatori, scozzesi ed irlandesi, lo avevano affascinato con le storie dei grandi eroi della Scozia. Ancora molto giovane iniziò ad imboccare una strada avventurosa: a 14 anni aveva partecipato con l’armata spagnola all’assedio di Gaeta; a 15 intraprese un lungo giro della penisola italiana, fermandosi in varie città e corti; a 18 anni chiese al padre di concedergli il permesso di sbarcare in Scozia per combattere gli usurpatori, permesso che Giacomo gli negò data la sua giovane età.
Tre ritratti del Bonnie Prince Charlie; da sx: ritratto eseguito da William Mosman nel 1750 circa, nel quale Charles indossa la rosa bianca simbolo dei giacobiti. ritratto eseguito da Antonio David nel 1732; Prince Charles Edward Stuart in Armour di Jean-Marc Nattier,
Carlo Edoardo simboleggiava per gli scozzesi la speranza, ancora accesa, di riacquistare la libertà perduta, e già fin dalla sua nascita i bardi gaelici avevano cantato il suo futuro avvento come salvatore del popolo: sono moltissimi i testi, le canzoni, le poesie in antico linguaggio che celebrano la venuta del bel principe. Si venne così a creare attorno al Bonnie Prince Charlie un’aurea leggendaria, che lo designava come il ragazzo destinato ad essere re, figlio del sovrano usurpato; egli deve venire dal mare, da una terra lontana dove vive anche il Papa, per ridare libertà e giustizia in una Scozia ora desolata. Rendono perfettamente l’idea questi versi di un poeta gaelico, Alasdair MacDonald, che concludono la poesia Oran Nuadh (canto nuovo):
“Nì na Gàidheil bheòda, ghasda, eirigh bhras le sròlaibh, Iad ‘nan ciadaibh uim’ ag iathad, ‘S coltasdian-chuir gleòis orr’: Gun fhiamh, ‘s Iad fiadhta, claidhmheach, sgiahach, Gunnach, riaslach, stròiceach, Mar chonfadh leòmhannaibh fiadhaich S acras dian gu feòil orr”
I temerari, energici, splendidi Gaelici,
sorgeranno con serici stendardi
a centinaia gli si faranno attorno (al Bonnie Prince)
smaniosi di entrare in azione;
senza paura, senza pietà, ben armati con scudi e spade,
appassionati, distruttivi, come il leone selvaggio punta la preda impaurita,
quando è spronato dalla voracità
La prima occasione che il Vecchio Pretendente attendeva per tentare un altro sbarco in Scozia si presentò nel 1744. I rapporti tesi tra Francia e Inghilterra erano peggiorati durante la guerra di successione austriaca e il re francese Luigi XV acconsentì ad attaccare il nemico inglese. In tale occasione partecipò lo stesso Carlo Edoardo, ma la spedizione non arrivò mai su suolo britannico a causa di una tempesta.
Un altro ritratto di Charles Edward Stuart, dipinto da Maurice Quentin de La Tour
Gli Stuart non si arresero: l’anno successivo, il 1745, vide svilupparsi la seconda rivolta giacobita, che sarebbe stata anche l’ultima. Il principe Carlo prese la sua decisione: sarebbe andato in Scozia a sollevare il suo popolo e a guidarlo nella riconquista della libertà. Charles era allora un ragazzo di 25 anni, forte, coraggioso, che affascinava per la sua personalità, ma soprattutto profondamente convinto della legittimità della propria causa. Gli storici concordano sul definire il suo tentativo come avventato, ingenuo, disperato ma non si può non ammirare l’audacia e la caparbietà di questo giovane ragazzo che sognava fermamente di riconquistare la terra dei suo padri, di cui aveva solo sentito parlare, per ridarle la libertà, quasi fosse un dovere da assolvere nei confronti dei suo avi.
Per organizzare l’impresa vendette i gioielli del proprio personale patrimonio e ottenne dei prestiti dai banchieri francesi. Acquistò così 1500 moschetti, 1800 spade, 20 piccoli cannoni ed un’adeguata quantità di munizioni e dopo aver assoldato un consorzio di corsari, salpò il 22 giugno 1745 alla volta della Scozia. Sebbene la nave più grande della flotta, carica della maggior parte degli armamenti, fu costretta a tornare indietro a causa di un attacco inglese, il Giovane Pretendente sbarcò un mese dopo sulle spiagge di Eriskay, piccola isola nelle Ebridi Esterne. Si dice che, ad uno dei suoi primi sostenitori accorso a rendergli omaggio e che, impaurito per la sua incolumità lo invitò a ritornare a casa, Charlie rispose “Sono a casa”.
“I am come home”, di Alan Herriot, ritrae lo sbarco del Bonnie Prince Charlie in Scozia.
La notizia dell’arrivo del principe si era diffusa velocemente in tutte le Highlands ed egli, ospite del Clan MacDonald, incontrava segretamente i Clan. La canzone “Wha’ll be king but Charlie?” (chi sarà re se non Charlie?) esprime chiaramente la tensione e la commozione che si diffusero alla notizia dello sbarco:
“The news frae moidart cam’ yestreen, will soon gar mony ferlie, for ships o’ war hae just come in and landed Royal Charlie! Come through the heather, around him gather, ye’re a’ the welcomer early: around him cling wi’ a’ your kin, for wha’ll be King but Charlie? The Highland clans wi’ sword in hand, frae John O’Groats to Airlie, hae to a man declared to stand, or fa’ wi’ Royal Charlie”
Ieri sono giunte notizie da Moidart, che presto rallegreranno molti, poichè sono giunte delle navi da Guerra ed è sbarcato il regale Charlie! Venite attraverso l’erica, radunatevi intorno a lui, siete tutti i benvenuti; circondatelo con tutta la vostra passione, perché chi altri sarà re se non Charlie? I clan delle Highlands con le spade in mano, da John o’Groat ad Airlie, hanno dichiarato come un sol uomo di resistere, o di cadere per il regale Charlie.
Tuttavia, non mancavano le perplessità sull’impresa e molti capi ritenevano rischioso dare il via ad una rivolta con poche armi e senza la sicurezza degli aiuti francesi. Si narra che, durante un colloquio con i capi dei diversi rami del Clan MacDonald, Charles si rivolse ad un ragazzo di 18 anni che lo osservava in silenzio chiedendo “Tu non vorresti aiutarmi?”. Il giovane, Ranald MacDonald, estrasse dal fodero la claymore, lo spadone gaelico, e gridò “Lo farò! Anche se nessun altro uomo dovesse sguainare la sua spada, io sono pronto a farlo e a morire per voi!”.
La notizia dell’arrivo del Giovane Pretendente era però giunta anche alle orecchie degli inglesi: il governo mise sulla testa di Charlie una taglia di 30.000 sterline, e Charlie mise a sua volta una taglia sulla testa di Giorgio di Hannover che ammontava a sole 30 sterline.
Bonnie Prince Charlie Entering the Ballroom at Holyroodhouse – John Pettie 1892
La ottenuta restaurazione degli Stuart però non era destinata a durare e si venne a creare un profondo risentimento nei loro confronti, soprattutto da parte dei nobili e della nuova classe di ricchi costituita da mercanti e navigatori, che si videro limitati nella loro espansione. Gli Stuart, a differenza di Elisabetta I, non avevano favorito l’espansionismo economico dei mercanti inglesi verso l’America del Sud, avevano soppresso la pirateria e avevano riallacciato dei buoni rapporti con la Spagna, rivale dell’Inghilterra nei rapporti commerciali. Ci fu una disputa molto accesa anche per quanto riguardava la successione al trono di Carlo II, poiché egli non aveva avuto eredi legittimi dalla moglie sterile, ma molti altri figli nati da relazioni con altrettante amanti. Il primo in linea di successione era Giacomo, fratello minore di Carlo, che però trovò l’opposizione di molti membri del Parlamento che temevano l’ascesa al trono di un sovrano dichiaratamente cattolico. L’incoronazione avvenne comunque e Giacomo VII Stuart (II d’Inghilterra) salì al trono il 23 aprile 1685. Quando il nuovo Re assegno gli Uffici di Cancelliere e di Segretario di Stato a dei cattolici e revocò le leggi penali ancora esistenti nei confronti dei cattolici, i grandi di Inghilterra decisero che era giunta l’ora di rovesciare definitivamente la dinastia Stuart.
Giacomo VII Stuart, II d’Inghilterra, ritratto di Nicolas de Largillière, 1686
Si ricorse all’aiuto di un principe olandese, Guglielmo d’Orange, che aveva sposato la figlia primogenita di Giacomo nonché erede al trono, Maria, la quale tuttavia perse tale titolo con la nascita inaspettata di un altro erede avuto dalla seconda moglie Maria Beatrice d’Este, stavolta maschio, Giacomo Francesco Edoardo Stuart, che di fatto veniva prima di lei e del marito nella successione al trono. C’erano tuttavia dei dubbi sulla veridicità della nascita del principe: qualcuno affermava che fosse in realtà nato morto, e sostituito con un altro neonato. Negli anni precedenti alla gloriosa rivoluzione si erano formati i due schieramenti dei Whigs e dei Tories: i primi, che rappresentavano gli interessi della borghesia e della piccola nobiltà, erano contrari alla successione di Giacomo II poiché cattolico, mentre i secondi, che rappresentavano i grandi proprietari terrieri e il clero anglicano, gli erano favorevoli. Dalla loro disputa uscirono vittoriosi i Tories, poiché Giacomo divenne effettivamente Re, ma a seguito della sua incoronazione e del suo favoritismo nei confronti dei cattolici, Whigs e Tories si unirono per annientare la monarchia, sostenendo l’invasione portata avanti da Guglielmo d’Orange, il quale sbarcò in Inghilterra nel 1688 dando inizio quella che viene definita la Gloriosa Rivoluzione, che durò fino all’anno successivo.
Guglielmo d’Orange ritratto durante lo sbarco a Brixham, Torbay nel 1688. Dipinto di Jan Wyck,
Figura di spicco durante la rivoluzione fu il Visconte di Dundee, John Graham of Claverhouse, nominato luogotenente da Giacomo ma ricordato con il nome di “Bonnie Dundee”, che riuscì a bloccare l’accesso alle Highlands ai sostenitori di Guglielmo, ma che perse la vita nella battaglia del Passo di Killiecrankie nel 1689.
Giacomo II, sconfitto dal genero e dichiarato deposto, fu costretto a rifugiarsi in Francia, dove morì nel 1701. La figlia minore di Giacomo, Anna Stuart, succedette al trono quando Guglielmo d’Orange morì, senza eredi nel 1702, poiché la moglie Maria era già deceduta da anni. Una settimana prima di morire, Guglielmo aveva scritto una lettera al Parlamento raccomandando ogni sforzo per unificare i due regni.
Con un atto del Parlamento inglese (Act of Settlement) si stabilì che, se alla sua morte Anna non avesse lasciato eredi, il regno sarebbe passato ad una cugina tedesca, Sofia elettrice di Hannover, e ai suoi eredi protestanti. Sofia ed Anna morirono a distanza di due mesi l’una dall’altra, quindi il trono passò al figlio della prima, Giorgio I, elettore di Hannover, che regnò per la prima volta col titolo di Re di Gran Bretagna. Pochi anni prima infatti la Scozia perdeva definitivamente la propria libertà, conquistata duramente al prezzo di molte vite umane durante le ribellioni del 1300 e nella battaglia di Bannockburn: il primo maggio 1707 venne attuato l’Atto di Unione, con il quale i Parlamenti delle due nazioni si unificavano e nasceva il Regno di Gran Bretagna. Il trattato venne approvato da gran parte dell’aristocrazia scozzese che componeva il Parlamento di Edimburgo e che aveva ricevuto, in cambio di questa adesione, consistenti forme di denaro. I punti essenziali dell’accordo erano i seguenti: i due regni confluivano in un unico Stato, denominato Gran Bretagna, con un’unica bandiera (la Union Jack), e una moneta unica. La Scozia non avrebbe più avuto un parlamento, ma avrebbe mandato propri rappresentanti a Westminster.
Il trattato d’Unione, 1707, sanciva la nascita del regno di Gran Bretagna.
Quando l’accordo fu reso pubblico, si assistette a numerose manifestazioni di protesta, anche violente, in varie città della Scozia, fomentate soprattutto dai giacobiti. La Scozia non esisteva più nemmeno nominalmente: ora questa parte dell’Impero si chiamava semplicemente North Britain. Re Giacomo VII, esiliato in Francia, era morto senza sapere che sarebbe stato l’ultimo Stuart a regnare, l’ultimo discendente di Bruce, l’ultimo sovrano di una Scozia Indipendente. Tuttavia, nel suo esilio europeo, il figlio di Giacomo, James Francis Edward Stuart, veniva proclamato dai suoi uomini Giacomo III d’Inghilterra. Per gli inglesi egli era invece “Il vecchio pretendente”: aveva inizio così l’ultimo disperato e azzardato tentativo degli Stuart di riprendere il proprio trono scozzese.
Si composero molte canzoni, o meglio lamenti, per la perdita dell’indipendenza. “Such a parcel of rouges in a Nation”, scritta a quanto pare da Rober Burns, è una di queste:
Farewell to all our Scottish fame,
Farewell our ancient glory!
Farewell even to the Scottish name.
So famed in martial story!
Now Sark runs over Salway sands,
And Tweed runs to the ocean,
To mark where England’s province stands
Such a parcel of rogues in a nation!
What force or guile could not subdue
Through many warlike ages
Is wrought now by a coward few
For hireling traitor’s wages.
The English steel we could disdain,
Secure in valour’s station;
But English gold has been our bane
Such a parcel of rogues in a nation!
O, would, or I had seen the day
that Treason thus could sell us,
My old grey head had lain in clay (be buried)
With Bruce and loyal Wallace!
But pith and power, till my last hour
I will make this declaration:
“We are bought and sold for English gold
Such a parcel of rogues in a nation!”
Addio alla nostra fama scozzese,
addio alla nostra antica gloria,
addio anche al nostro nome scozzese,
così famoso nella storia militare.
Ora il Sak scorre oltre le sabbie di Solway,
e il Tweed sfocia nell’oceano,
a segnare i confini di una provincia inglese.
Che branco di mascalzoni in una Nazione!
Ciò che la forza e l’inganno non erano riusciti a sottomettere
Attraverso tante epoche di guerra,
è ottenuto adesso da un gruppo di codardi
al prezzo che si dà ai mercenari traditori.
Noi possiamo disprezzare l’acciaio inglese
sicuri della forza del nostro valore,
ma l’oro inglese è responsabile della nostra rovina:
che branco di mascalzoni in una nazione!
Se avessi saputo che avrei visto il giorno
che il tradimento ci avrebbe venduti,
avrei preferito che la mia vecchia grigia testa giacesse morta
con Bruce e il fedele Wallace.
Ma con forza e vigore, fino all’ultima mia ora,
io dichiarerò questo:
fummo comprati e venduti per l’oro degli inglesi.
Che branco di mascalzoni in una Nazione!
Ancora una volta il destino aveva giocato un duro colpo agli scozzesi: dopo la morte improvvisa di re James V, dopo aver subito una serie di disastrose sconfitte militari, con il Paese scosso dalle violenze della rivoluzione protestante, restava ancora una piccola speranza: l’erede al trono di Scozia, Mary Stuart (conosciuta in italiano come Maria Stuarda).
Mary trascorse una serena infanzia in Francia, alla corte dei parenti materni, e ricevette la miglior educazione possibile: parlava correttamente sette lingue (francese, latino, greco, spagnolo, italiano, inglese, scozzese), suonava due strumenti, e fu istruita in varie arti. Sposò il Delfino, ossia l’erede al trono francese, Francesco, e divenne Regina consorte di Francia quando suo padre Enrico II morì. Rimasta vedova dopo soli due anni di matrimonio, Maria decise, a 23 anni, di fare ritorno nella sua Scozia a rivendicare il suo diritto di regina. Vi trovò un Paese completamente trasformato dal severo moralismo calvinista: era diffusa la caccia alle streghe, con centinaia di roghi, e ogni forma di arte, letteratura e musica era vista come ricettacolo del peccato. Tutto era caduto in una sorta di oscurità. Al trono d’Inghilterra sedeva Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, che era succeduta alla morte della sorellastra Maria I Tudor, anch’ella figlia di Enrico ma avuta dalla prima moglie Caterina d’Aragona. Essendo Maria Stuarda ed Elisabetta I lontane cugine, poiché la nonna paterna della prima, ed il padre della seconda erano fratello e sorella, la seconda nella linea di successione al trono inglese era proprio Maria.
Mary Stuart (a sinistra) e Elizabeth I Tudor (a destra)
Maria Stuarda sbarcò in Scozia il 19 agosto 1561, guardata con sospetto da molti dei suoi sudditi, nonché dalla stessa Regina Elisabetta I, per via della sua fede cattolica. La storia di Maria Stuarda si svolse tra passioni e tragedie, tra speranze, drammi e delusioni. Dal secondo marito, Enrico Stuart Lord Darnley, suo cugino di primo grado, nacque nel 1566 Giacomo. Il matrimonio con il cugino si rivelò infelice, ed in effetti infelice fu tutta la vita di Maria dal momento della morte del suo primo marito in Francia. Dopo essere stata imprigionata e aver tentato rivolte e battaglie con il sostegno degli scozzesi che le erano fedeli, dopo intrecci politici, complotti alla sua figura, false cospirazioni commesse a suo nome e tradimenti da parte della cugina la Regina d’Inghilterra, la povera (e sfortunata, permettetemi di dirlo) Maria Stuarda fu infine processata e decapitata l’8 febbraio 1587 nel castello di Fotheringhay, su ordine di Elisabetta. A questo punto le sorti della Scozia sembravano davvero segnate, tutte le speranze si erano spente. Tuttavia, una strana beffa del destino cambiò completamente le carte in tavola: Elisabetta I, la grande sovrana ultima dei Tudor, morì senza lasciare alcun erede nel 1603. L’avente diritto al trono inglese diventava colui che veniva per primo in linea di successione e, per i legami di parentela prima indicati, questi era… Giacomo Stuart, il figlio di Maria Stuarda, che venne incoronato Giacomo VI di Scoziae divenne anche I di Inghilterra. Nonostante l’Unione della Corone, la Scozia e l’Inghilterra mantennero di fatto ognuna la propria sovranità ed il proprio Parlamento, e, per quanto riguarda il regno scozzese, una libertà limitata e vigilata da Londra.
Ritratto di James Stuart, I d’Inghilterra e VI di Scozia
Giacomo, allontanato sin da piccolo dalla madre, fu allevato nella fede protestante sotto la guida del suo consigliere, Robert Cecil. Ben lontano dalle idee politiche e religiose della madre, egli scelse di regnare seguendo la linea del suo predecessore, Elisabetta I, tentando con scarsi risultati di mediare le richieste del partito cattolico e di quello protestante. Convinto sostenitore dell’assolutismo monarchico, arrivò perfino a sciogliere il Parlamento (riformato sette anni dopo), reo di avergli negato appoggio finanziario nel suo intento di sostenere al Spagna durante la guerra dei trent’anni. Alla sua morte lasciò un regno decisamente impoverito per gli sperperi e la corruzione della corte, indebolito sul piano internazionale e nel quale già covava una forte opposizione alla corona.
A Giacomo succedette nel 1625 il figlio Carlo I d’Inghilterra. Il suo regno fu caratterizzato dall’opposizione del Parlamento al potere regale, che sfociò in una grande ribellione e in un periodo di guerra civile. Il Paese era diviso: da una parte c’era l’esercito di Carlo, finanziato in gran parte dagli aristocratici, dall’altra l’esercito del Parlamento guidato da Oliver Cromwell, e, nonostante i negoziati, scoppiò la guerra civile. Con una serie di battaglie combattute nell’arco di quattro anni, le truppe Cromwelliane sconfissero quelle del Re e Carlo fu catturato, processato per alto tradimento nei confronti del popolo inglese e decapitato.
Un originale ritratto di Carlo I: Charles in three positions, di Anthony van Dyck, (1635–36)
A quel punto Oliver Cromwell proclamò la Repubblica (Commonwealth, durata dal 1649 al 1653) e si proclamò Lord Protettore di Inghilterra, Scozia ed Irlanda, governando a tutti gli effetti come un dittatore militare: le sue truppe devastarono l’Irlanda per poi dirigersi verso la Scozia, con lo scopo di imporre obbedienza alla Repubblica. Si accese allora nuovamente negli scozzesi il senso di nazione ed indipendenza, messa a rischio per l’ennesima volta dall’imminente attacco di Cromwell. Il Parlamento di Edimburgo nominò Re il figlio di Carlo I, che venne incoronato nel 1651 come Carlo II Stuart, costretto però per via degli scontri continui a rifugiarsi in Francia. Nel frattempo in Scozia scoppiò una rivolta che vide le truppe cromwelliane scontrarsi con quelle guidate da James Graham, Marchese di Montrose, affiancato dalle truppe di Highlanders e di Irlandesi radunate da Alasdair MacDonald e Manus Roe O’Cahan, che combatterono con fervore per la libertà e per gli Stuart. La Scozia fu sotto l’occupazione militare delle truppe del Commonwealth per nove anni, ma dopo la morte di Cromwell e la caduta della Repubblica, Carlo potè ritornare a sedersi sul trono che gli spettava e nel 1661 venne incoronato Re di Inghilterra, Scozia e Irlanda.
And When Did You Last See Your Father? di William Frederick Yeames (1878). Il dipinto mostra un giovane (in una casa leale al Re) interrogato da un miliziante della fazione Parlamentare durante la guerra civile inglese.Carlo II in armatura; ritratto di sir Peter Lely, primo pittore di corte.
Il periodo di crescita, pace e sviluppo era destinato ad interrompersi bruscamente dopo due secoli dal trionfo di Bruce, a causa di alcuni avvenimenti verificatisi nei primi anni del 1500, che segnarono una drammatica svolta nella storia della Scozia, ma anche dell’Europa: la sconfitta di Flodden contro gli inglesi e la diffusione della Riforma protestante.
Il conflitto secolare con l’Inghilterra si riaccese con l’ascesa al trono inglese di Enrico VIII: descritto come un giovane alto, biondo, atletico, bellissimo, ben diverso da come diventò poi negli ultimi anni di vita, sposò Caterina d’Aragona, vedova di suo fratello Arturo, deceduto poco prima della sua incoronazione, ma divenne celebre per le sue altri 5 mogli e per le moltissime amanti, tra le quali Anna Bolena, e per la sua incapacità di generare eredi maschi.
Enrico attribuiva la colpa dei suoi numerosi figli nati morti, deceduti ancora in fasce, o addirittura mai nati alle sue mogli e amanti, che proprio per questo vennero ripudiate o addirittura condannate e decapitate. Tuttavia oggi molti studiosi sono certi che tale incapacità di generare figli maschi fosse dovuta ad una malattia genetica legata al cromosoma x e all’appartenenza ad un raro gruppo sanguigno. La sua irascibilità e la sua instabilità psichica, che insorsero mano a mano che il sovrano invecchiava, sarebbero state invece dovute ad un’altra rara malattia genetica: la sindrome di MacLeod. Dopo il matrimonio con Caterina, Enrico intervenne nel conflitto franco-spagnolo, cosicchè la Francia si appellò all’aiuto dell’alleata Scozia, dove regnava James IV Stuart (italianizzato, Giacomo IV Stuart), che si preparò a muovere guerra all’Inghilterra. L’astuto Enrico però cercava solo un pretesto per avviare l’ennesima lotta contro la vicina Scozia, e iniziò a rinforzare i confini settentrionali. Racconta la leggenda che San Giovanni fosse apparso a Giacomo, per avvertirlo di non invadere l’Inghilterra: il sovrano scozzese, svelato il trabocchetto del vicino, scrisse una lettera al Papa, tentando di metterlo in guardia sulle reali intenzioni di Enrico ma il Santo Padre ignorò tali ammonizioni, essendosi lo stesso Enrico dichiarato un fedele sostenitore dello Stato Pontificio. In realtà il sovrano inglese bramava di vendicare lo smacco subito dai suoi antenati in passato, e a Giacomo non restò altro che muovere battaglia e attraversare il confine con l’Inghilterra, dove lo attendeva un’armata determinata a distruggerlo.
Il 12 settembre 1513 si combattè la battaglia di Flodden, che si concluse in un massacro: sul campo caddero 10.000 scozzesi, contro le poche centinaia tra gli inglesi, tra i quali lo stesso Re di Scozia, il cui corpo neppure venne restituito. Ancora una volta la Scozia era senza Re e senza eredi e ancora una volta il sovrano inglese si offriva come garante della legge e dell’ordine. Tuttavia, Enrico fu molto prudente e non invase subito la Scozia, ma preferì procedere con una strategia mirata a destabilizzare l’ordine del Paese. Per prima cosa nominò sua sorella Margaret (che era la moglie di Giacomo IV e madre dell’erede al trono scozzese) tutrice del futuro Re James V, circondandolo di consiglieri inglesi. Inoltre incoraggiò in ogni modo le rivalità e i tradimenti, seminando disordini e ordendo complotti contro il Re.
Battaglia di Flodden, 1513, dipinto di George Goodwin
L’altro avvenimento che segnò profondamente la storia della Scozia fu la Riforma Protestante, durante la quale venne messa in atto una vera e propria persecuzione dei fedeli, dei sacerdoti, e di tutto ciò che aveva a che fare con la fede cattolica. La riforma fu voluta da Enrico VIII a seguito di alcuni screzi avuti col Papa sulla questione del divorzio, ma rappresentò anche un modo per il sovrano di aumentare il suo potere e la sua ricchezza impossessandosi dei beni della Chiesa: egli privatizzò i beni ecclesiali, dei quali si impadronì assieme alla classe aristocratica, arricchendosi a dismisura. In quel periodo l’Inghilterra e la Scozia vantavano un gran numero di monasteri, abbazie e conventi, ed ognuno di essi possedeva beni materiali (terreni, allevamenti, attività produttive) con le rendite dei quali venivano mantenute scuole, ospedali, ospizi e si dava assistenza ai bisognosi: tutto quanto venne sottratto al clero e si concentrò nelle mani di pochi privilegiati, aumentando maggiormente il già presente divario tra i benestanti ed il popolo. Nel corso dei secoli, la religione cattolica venne messa fuori legge, così come la Bibbia, le case ecclesiastiche e le chiese distrutte, i sacerdoti perseguitati, banditi od uccisi, in un vero e proprio tentativo di eliminare completamente tale fede, che doveva essere soppiantata dalla chiesa presbiteriana. Ma l’Inghilterra non assistette del tutto passivamente alla riforma: vi fu una straordinaria protesta popolare, che prese il via nello Yorkshire con il nome di Pilgrimage of Grace (pellegrinaggio di Grazia) avvenuta tra il 1536 e il 1537 contro la persecuzione di parrocchie ed ordini religiosi, ma le rivolte furono ben presto sedate, ed i capi dei rivoltosi impiccati.
Pilgrimage of Grace
A questo punto Enrico VIII decide di dedicarsi alla conquista della Scozia, quel Paese che i suoi antenati avevano conquistato e poi perduto nella battaglia di Bannockburn. Continuò a seminare disordini, favorendo lo sviluppo tra gli scozzesi di un gruppo filo-protestante e filo-inglese, che iniziò ad ordire complotti contro il Re e contro la Chiesa. Inaspettatamente trovò un fermo rivale nel giovane Re James V che, nonostante la tutela impostagli durante tutta la sua infanzia ed adolescenza, si rifiutò di seguire la riforma protestante di Enrico e restò anzi fedele alla sua Chiesa cattolica. Per rimarcare la sua scelta, sposò Maria di Guisa, imparentata con la dinastia reale dei Valois, e rafforzò i legami con la Francia. Maria di Guisa era una vedova appena ventunenne, poiché il suo precedente marito, dal quale aveva avuto anche un figlio, era morto pochi anni dopo il loro matrimonio. Quando James chiese la sua mano, Enrico VIII, intuendo che si trattava di un’unione pericolosa, avanzò la stessa proposta, vedendosi però rifiutato a favore del proprio nipote. Maria, all’inizio titubante, a seguitò di una lettera ricevuta dallo stesso James, si decise ad accettare la proposta e i due convolarono a nozze nella chiesa di Notre Dame di Parigi nel 1538.
James (Giacomo) V Stuart e la moglie Maria di Guisa
Visto il fallimento di ogni tentativo di condizionamento del sovrano scozzese, Enrico d’Inghilterra decise di ricorrere alla forza. Nel 1542 le truppe inglesi invasero la Scozia senza nemmeno una dichiarazione di guerra e a Solway Moss sconfissero vergognosamente gli scozzesi: l’esercito degli highlander fu condotto alla disfatta da nobili comprati dall’oro di Enrico, piegandosi di fronte ad un esercito di fanti inglesi numericamente molto inferiore. Dopo la battaglia James si ammalò gravemente di febbre, anche se secondo alcuni fu il dolore e l’umiliazione provati per la sconfitta a portarlo, dopo poche settimane alla morte. I due figli maschi avuti da Maria di Guisa erano morti piccoli, e mentre James giaceva agonizzante gli giunse la notizia che sua moglie aveva appena dato alla luce il suo erede al trono: una bambina, che venne chiamata Mary: Mary Stuart, italianizzata Maria Stuarda. Sua madre detenne la reggenza del regno fino alla sua morte, avvenuta nel 1560. Maria aveva sei mesi quando, con i trattati di Greenwich, si stabilì che avrebbe dovuto sposare Edoardo, figlio di Enrico VIII, e i loro eredi avrebbero ereditato il Regno di Scozia ed Inghilterra. Maria di Guisa era fortemente contraria a tale unione e si nascose con la piccola Mary nel castello di Stirling dove, all’età di nove mesi, la piccola principessa venne incoronata Regina di Scozia. Da questo rifiuto nacque quello che viene definito “il brutale corteggiamento”, ossia un conflitto che coinvolse i due Stati dal 1543 al 1550 e che vide Enrico d’Inghilterra dichiarare guerra alla Scozia.
Ritratto di una giovane Mary Stuart, artista sconosciuto
La guerra consistette in una serie di incursioni ed attività militari che culminò il 10 settembre 1547, noto come “sabato nero”, con la battaglia di Pinkie Cleugh, nei pressi di Edimburgo, che vide, nuovamente, l’esercito scozzese sconfitto. Gli inglesi tentarono di prendere il castello di Stirling per catturare la piccola Mary, che venne però nascosta dalla madre nel priorato di Inchahome. La Francia, onorando la Auld Alliance, venne in aiuto degli scozzesi ed il re francese Enrico II propose un matrimonio tra Mary Stuart e suo figlio, il delfino Francesco. Firmato il contratto di matrimonio, e all’età di cinque anni, la piccola Regina di Scozia venne spedita in Francia, dove venne allevata ed educata dai suoi parenti Guisa alla corte dei Valois, protetta dal monarca Enrico II.