10 luoghi legati a Mary Stuart, Queen of Scots, da visitare in Scozia

Mary Stuart fu regina di Scozia dal 1542 al 1567 e la sua storia, caratterizzata da una serie di sfortunati eventi, momenti di grande potere e gioia alternati a situazioni drammatiche è condita da omicidi ed inganni, amori ed intrighi di corte. La figura della regina scozzese, come ogni personaggio del passato, si perde ormai tra miti e leggende e sono molte le trasposizioni letterarie e cinematografiche che tentano di raccontare la sua vita, sfociando a volte in tentativi alquanto discutibili. I luoghi in cui Mary ha vissuto durante il suo travagliato regno e dove la Regina ha lasciato un segno sono moltissimi, sparsi per tutta la Nazione e concentrati prevelentemente attorno ad Edimburgo e nelle aree circostanti (nel Fife, nei Lothian, nei Borders) e, più a Nord, su fino all’Aberdeenshire e alla costa del Moray. Eccone alcuni da non perdere, se la storia di Mary vi appassiona, ma iniziamo con qualche informazione di base sulla vita della Regina. Continua a leggere “10 luoghi legati a Mary Stuart, Queen of Scots, da visitare in Scozia”

Linlithgow Palace, dove nacque Mary Stuart

Finalmente dopo numerosi viaggi in Scozia sono riuscita a visitare uno dei luoghi che non ho mai avuto l’occasione di spuntare dalla lista delle cose da vedere: Linlithgow, piccolo borgo nel West Lothian a circa 30km e 45 minuti d’auto da Edimburgo famoso per il suo “Palace” in riva al lago dove nacque nel 1542 Mary Stuart (Maria Stuarda). Un villaggio davvero molto carino, con le bandierine colorate a decorare High Street, che si sviluppa sulle sponde del Linlithgow Loch attorno al quale è possibile fare belle passeggiate. Visitare il luogo di nascita del mio personaggio storico scozzese preferito è stato davvero emozionante! In questo articolo troverete la storia e le caratteristiche del palazzo e altre informazioni utili per programmare la vostra visita a Linlithgow. Continua a leggere “Linlithgow Palace, dove nacque Mary Stuart”

Mary Stuart, storia di una Regina di Scozia / Parte 7

PARTE 7 (1584 – 1587): Verso la fine

Mary Stuart ha quarant’anni ed inizia ad essere stanca della sua prigionia e della sua vita dura e vuota. In uno dei molti momenti di sconforto, in cui il suo più grande desiderio è molto probabilmente la morte, scrive queste commoventi righe in latino:

“O Domine Deus! Speravi in te. O care mi Jesu! Nunc libera me. In dura catena, in misera poena, desidero Te. Languendo, gemendo et genu flectendo, adoro, imploro, ut liberes me”
“Signorre Iddio, ho sperato in te! O mio buon Gesù, ora liberami! Incatenata, misera, ti desidero. Languida, gemente e prostrata, adorando t’imploro: liberami!” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 304)

L’ultima speranza di Mary è di trovare un’intesa col figlio Giacomo VI che però, allevato lontano dalla sua protezione, nella fede protestante e dai suoi nemici più accaniti, ha un atteggiamento gelido nei confronti della madre: le uniche informazioni che conosce sul suo conto sono che ha collaborato ad uccidere suo padre e che gli contesta i diritti alla corona. Elisabetta ancora una volta precede Mary e cercando di impedire a tutti i costi un loro pericoloso riavvicinamento stringe accordi segreti con Giacomo, offrendo una pensione annua di cinquemila sterline se il futuro re firmerà un trattato di alleanza che, tra le sue varie clausole, tralascia completamente quella della liberazione della madre: ignorandola come se non esistesse, suo figlio si mette d’accordo con la sua acerrima nemica.

Mary queen of scots and King James VI of Scotland - dipinto del 1583. Mary è ritratta durante la sua prigionia in Inghilterra infatti vestiti e perfino gioielli sono uguarli a quelli di altri quadri realizzati durante quel periodo.
Mary queen of scots and King James VI of Scotland – dipinto del 1583. Mary è ritratta durante la sua prigionia in Inghilterra infatti vestiti e perfino gioielli sono uguarli a quelli di altri quadri realizzati durante quel periodo.

Dopo questo episodio, e con una lettera crudele e piena di rabbia disperata nella quale Mary Stuart mette in luce tutti i difetti fisici e le debolezze private di Elisabetta, non c’è più possibilità di riconciliazione e la lotta tra le due regine arriva ad un punto di odio profondo: si è giunti all’ultima fase di questa lotta decennale. Il suo carceriere Shrewsbury, che si era rivelato troppo gentile ed indulgente, viene sostituito da un protestante fanatico, Amyas Poulet, che sin dall’inizio si impegna a rendere difficile e poco gradevole la vita a Mary Stuart. La sua sorveglianza viene notevolmente aumentata, i soldati che controllano le vie d’entrata ed uscita al castello raddoppiati, alla servitù viene tolta qualsiasi libertà di movimento tanto che una persona può lasciare il castello solo con un permesso speciale e scortata, la biancheria, i libri, qualsiasi cosa che entra ed esce dal maniero viene controllata scrupolosamente in modo da impedire ogni corrispondenza. Infine, viene negato a Mary persino di andare a caccia e di cavalcare. Ora è una vera prigioniera rinchiusa in un carcere, ma non è ancora abbastanza. Contro di lei, per colpirla ed eliminarla definitivamente, la polizia di Stato inglese capeggiata da Wasingham e concorde con Elisabetta, sta programmando una complotto che simulerà un attentato alla vita della Regina d’Inghilterra organizzato nientemeno che dall’ignara Mary Stuart, la cosiddetta congiura Babington. Un crudele pretesto per incolparla ingiustamente e togliersela di mezzo una volta per tutte, per renderla complice di un delitto da loro stessi montato. Un piano così perfetto da essere un capolavoro, ma tanto macabro, subdolo e crudele da far venire la pelle d’oca. Il terribile complotto inizia con il trasferimento (l’ennesimo!) della regina scozzese da Tutbury alla residenza di Chartley, luogo in cui vivono diverse famiglie cattoliche sue sostenitrici. Improvvisamente, le libertà che fino al giorno prima le erano state brutalmente negate, ora le vengono nuovamente concesse e, elemento fondamentale per la riuscita del piano, riceve nuovamente le sue lettere cifrate. Queste ultime le vengono recapitate una volta alla settimana, chiuse in una bottiglia di legno sigillata all’interno di una botte di birra per la sua servitù che arriva dalla vicina osteria. Ciò che la regina non sa però è che il “buon uomo” che la consegna è pagato dalla polizia inglese per controllare la sua corrispondenza, che viene immediatamente decifrata, copiata ed inviata a Londra e poi, prontamente, consegnata a Mary Stuart o al destinatario.

Lettera codificata indirizzata a Mary Stuart
Lettera codificata indirizzata a Mary Stuart e scritta da Babington

Una volta che la polizia ha le comunicazioni della regina scozzese sotto controllo, viene scelta attentamente un’esca per attirare la donna in trappola. Antony Babington, giovane membro della piccola nobiltà, sposato e benestante che abita vicino alla tenuta di Chartley, cattolico convinto e sostenitore generoso di Mary Stuart, è ignaro durante tutte le vicende che seguiranno, di essere spiato ed usato dalla polizia inglese per realizzare il proprio macabro scopo. Babington cerca tra gli amici dei sostenitori per tentare di liberare la sua amata regina ma non si accorge che nel gruppo creato per l’occasione entrano alcuni personaggi un po’ troppo fanatici, un po’ troppo estremisti, che sono in realtà delle spie assoldate da Wasingham che premono affinché si compia un attentato contro Elisabetta e che, con molta insistenza, riescono a far prendere seriamente in considerazione l’idea a Babington ed ai suoi amici.Tuttavia per incolpare Mary occorre qualcosa di più, serve che ella stessa dia il consenso all’operazione e che lo faccia per iscritto, in modo da avere delle prove schiaccianti. Le spie convicono Babington di mettere al corrente delle proprie intenzioni la regina e lui, scioccamente, cade nella trappola mandando una lunga e dettagliata lettera alla sua carissima sovrana, in cui le rivela fin nei minimi particolari i piani predisposti, riferendo che sarà lui stesso assieme a dieci nobili e cento soldati a liberarla dal castello mentre contemporaneamente a Londra sei nobili, tutti amici fidati e dediti alla causa cattolica, avrebbero ucciso “l’usurpatrice”. Inizialmente Mary risponde solo con poche righe alla missiva e non esprime le sui idee in merito alla congiura, consigliata dal suo fedele e saggio segretario Nau a non mettere nulla per iscritto in una faccenda così compromettente. Alcuni giorni dopo però la regina cede alla tentazione e, chiusa in camera con i suoi segretari, risponde esplicitamente e punto per punto alle singole proposte. Il 17 luglio 1585 la sua risposta viene come al solito spedita nella botte. Subito la macchina delle spie si mette in moto, la lettera viene immediatamente decifrata – il segretario incaricato del deciframento è stato fatto venire per l’occasione a Chartley – e gli artefici del complotto gioiscono nel trovare ciò che da mesi aspettavano. Eccolo li, nero su bianco, il consenso di Mary Stuart all’uccisione di Elisabetta:

“Bisogna poi mettere all’opera i sei nobili [che uccideranno Elisabetta] e dar loro l’incarico che a compito svolto io sia subito portata via di qui…prima che il mio sorvegliante lo venga a sapere” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 329)

Per Wasingham e gli altri cospiratori queste righe sono sufficienti per costituire un capo d’accusa contro la sovrana scozzese. Quando un congiurato del loro gruppo viene catturato, Babington e l’amico Savage riescono a fuggire e a nascondersi per dieci giorni nel St. John’s Wood, a Londra (all’epoca fuori, oggi in centro!), ma inseguiti dalla polizia vengono catturato, arrestati e portati in catene nella Torre di Londra, dove vengono torturati e condannati a morte. Anche se in base alla legge per il reato commesso toccherebbe l’impiccagione, a Babington e nove dei suoi giovanissimi compagni toccherà soffrire un atroce e crudele fine: sei di loro vengono impiccati ma poi tirati giù ancora vivi, e ancora vivi vengono fatti a pezzi con una così atroce lentezza che persino la gente che assiste al macabro spettacolo non riesce a tollerarlo, ed il giorno dopo si è costretti ad abbreviare la tortura agli altri. Ancora una volta altre giovani vite sono state trascinate alla rovina e spezzate per questa donna, ancora una volta si è versato del sangue per questa regina. Il suo nome sarà ricordato nei secoli a venire, quello dei poveri ragazzi che sono stati barbaramente torturati e uccisi invece, è sbiadito da un pezzo, perduto nella lunga lista di chi si è sacrificato per l’amore di questa donna, o per difenderne l’onore.

Ritratto di Anthony Babington
Ritratto del giovane Anthony Babington

Nel frattempo Mary Stuart attende ignara nel castello di Chartley che i suoi salvatori arrivino per liberarla. Durante una battuta di caccia nel vicino castello di Tixall però un folto gruppo di cavalieri si avvicina e Thomas George, che guida il gruppo, le annuncia che il complotto Babington è stato scoperto e che ha l’incarico di arrestare i suoi due segretari mentre lei verrà tenuta sotto sorveglianza a Tixall, dove rimarrà per diciassette giorni prima di essere trasferita nell’ultima delle sue prigioni, il castello di Fotheringhay, e dove il suo pellegrinaggio avrà fine.

La pena che spetta a chi attenta alla vita di una sovrana è, inevitabilmente, la morte. A meno che la sovrana in questione non si dimostri clemente, offrendo generosamente la grazia reale. Dal momento in cui ha “incastrato” la cugina, Elisabetta si dimostra incerta ed indecisa sulle sue mosse future: ci vorranno sei mesi prima che la regina d’Inghilterra prenda una decisione, continuando a rimandare il momento finché non avrà più altra scelta. Varie volte offrirà a Mary Stuart l’occasione di confessare apertamente le sue colpe a lei, evitando così un processo pubblico, e magari di essere assolta. Ma ogni volta la risposta che riceve è negativa, Mary non vuole più essere salvata, orgogliosa come sempre preferirebbe inginocchiarsi sul patibolo piuttosto che davanti alla cugina. Il 14 agosto ha inizio il secondo processo ed il 28 ottobre viene data lettura della sentenza, con un unico voto contrario (un certo Lord Zouche):

“La predetta Mary Stuart, che avanza diritti sulla corona di questo regno d’Inghilterra, ha approvato ed escogitato diversi piani al fine di ferire, annientare o uccidere la sacra persona della nostra sovrana, la regina d’Inghilterra” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 340).

La pena per un tale diritto, come il Parlamento ha deciso in precedenza, è la morte. Occorre però il permesso di Elisabetta, la sua firma sul documento di condanna a morte. Ma la sovrana non si decide, nonostante le insistenze del parlamento e del consiglio della corona proprio non riesce a prendere questa decisione, non dà mai una risposta sicura e definitiva. E Mary Stuart? Mary è rassegnata, se è la morte quella che Elisabetta vuole per lei, che proceda pure. Meglio una morte che umilii la sua avversaria, piuttosto che un’ipocrita indulgenza che faccia sembrare magnanima la sua nemica. Non protesta contro la condanna a morte, non chiede pietà, non vuole la grazia, ha solo delle piccole richieste che scriverà ad Elisabetta in una lettera:

“In primo luogo, chiedo che il mio corpo, non appena i miei nemici si siano saziati del mio sangue innocente, venga portato dalla mia servitù in terra consacrata per esservi seppellito, preferibilmente in Francia, dove riposano le ossa della regina mia venerata madre, affinchè questo povero corpo, che mai conobbe pace finchè fu unito all’anima, raggiunga questa pace appena separato da essa. In secondo luogo, temendo la tirannia di coloro alla cui violenza mi avete abbandonata, chiedo di non essere giustiziata segretamente, ma in presenza della mia servitù e di altre persone che possano poi testimoniare della mia fedeltà alla vera chiesa e difendere l’ultimo istante della mia vita e i miei ultimi sospiri contro tutte le voci false che i miei avversari possano divulgare. In terzo luogo, chiedo che i miei servitori, che mi hanno servito con tanta fedeltà in mezzo a tante angustie, possano recarsi senza difficoltà dove più piaccia a loro e godere del piccolo patrimonio che la mia povertà ha lasciato nel mio testamento. Per la memoria di Enrico VIII, nostro comune antenato, e per il titolo di regina che porterò fino alla morte, vi scongiuro, Madame, di non lasciare inesauditi i miei desideri e di darmene assicurazione con una parola di vostra mano. Poi morirò come ho vissuto. La vostra affezionata sorella e prigioniera. Maria, Regina.” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 347)

Mary queen of scots in captivity - dipinto di John Callcott Horsley, 1871
Mary queen of scots in captivity – dipinto di John Callcott Horsley, 1871

Da quasi sei mesi prosegue la lotta interiore di Elisabetta, che non riesce proprio a convincersi a firmare la condanna a morte, a mandare al patibolo una regina al pari di lei stessa. Ma ecco che mercoledì 1 febbraio 1587 il segretario di Stato Davison viene urgentemente invitato a presentarsi al cospetto della regina, portandole dei documenti da firmare, tra cui anche la condanna. Elisabetta è titubante, esita ancora un po’ e poi, senza nemmeno leggerli, firma velocemente tutti i documenti, compreso il più “bollente”, dando ordine di consegnarlo al più presto e segretamente al cancelliere in modo che possa procedere a sigillarla col gran sigillo di Stato e di consegnarla alle persone incaricate per l’esecuzione. Il giorno dopo però la sua coscienza torna a farsi sentire e fa recapitare un messaggio al segretario intimandoli di aspettare fino ad un nuovo colloquio con lei, prima di consegnare il documento. Il buon Davison però ha già eseguito il suo compito e, vedendo la regina improvvisamente irrequieta ed infine lasciare la stanza senza dargli un ulteriore ordine, capisce di essere in una situazione pericolosa. Contatta immediatamente il cancelliere di Stato Cecil, che convoca un consiglio di stato segreto nel quale viene deciso che siano tutti e dieci i suoi membri ad ordinare l’esecuzione, dividendosi la responsabilità dell’azione. Elisabetta ha raggiunto il suo obiettivo ed ha le mani pulite.

Sentenza di condanna a morte per Mary Stuart firmata da Elisabetta I
Sentenza di condanna a morte per Mary Stuart firmata da Elisabetta I

Il 7 febbraio 1587 i funzionari di stato inglesi portano al castello di Fotheringhay il messaggio della condanna a morte alla prigioniera Mary Stuart. Con una calma esemplare Mary si fa leggere la sentenza e poi, dopo essersi fatta il segno della croce, annuncia:

“Sia lodato il Signore per la notizia che mi portate. Non ne potrei ricevere una migliore, poiché essa mi annuncia la fine dei miei mali e la grazia che il Signore mi concede di morire per l’onore del suo nome e della sua Chiesa, quella cattolico-romana” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 357)

Poi, espone le sue due piccole richieste: che il suo confessore la possa assistere coi conforti spirituali e che l’esecuzione della sentenza non avvenga la mattina successiva, in modo da poter dare accuratamente le ultime disposizioni. Entrambe le preghiere vengono respinte. La sua ultima notte Mary Stuart la passerà a scrivere lettere, dettare disposizioni, ultimare i preparativi per il giorno seguente perché non vuole lasciare nulla al caso, vuole una morte grandiosa come si addice ad una grande sovrana. Dopo che ha cenato, la servitù le si raccoglie attorno e la regina con grande umiltà chiede perdono a ciascuno di loro per ogni ingiustizia che consciamente o meno abbia loro arrecato e consegna ad ognuno un regalo scelto con cura: anelli, pietre, collane e pizzi. Alla fine si accomoda alla sua scrivania, alla luce delle candele, e inizia a scrivere le ultime lettere: al suo confessore, ai suoi parenti in Francia, chiedendo al re di accertarsi che il suo testamento venga rispettato e di far celebrare messe in suo onore, a Filippo II di Spagna ed al Papa.

Mary queen of scots receiving the garrant for her execution - David Scott, 1840
Mary queen of scots receiving the garrant for her execution – David Scott, 1840

La mattina dell’esecuzione Mary passa due ore chiusa nelle sue stanze a vestirsi, aiutata dalla sua servitù. Per nessun’alta occasione si è vestita con più cura che per la sua morte: indossa un abito da cerimonia, da festa, il suo vestito più bello e più serio di velluto color marrone scuro con guarnizioni di zibellino, con colletto bianco alto, ampie maniche e uno strascico talmente lungo che qualcuno è costretto a sorreggerlo. Sopra, porta un mantello di seta nera e un velo da vedova, bianco, ondeggia dalla fronte fino a terra. Ai piedi indossa scarpe di marocchino bianco che attenuano il rumore dei suoi passi verso il patibolo, nel silenzio generale della grande sala del castello. Ha pensato perfino al fatto che una volta raggiunto il ceppo dovrà spogliarsi e si è fatta preparare una sottoveste scarlatta con lunghi guanti dello stesso colore perché, quando la scure la colpirà, il colore del sangue non contrasti troppo con quello della veste. Ha addirittura scelto lei stessa il fazzoletto decorato con frange d’oro col quale le verranno bendati gli occhi durante l’esecuzione. Nulla è lasciato al caso.

Mary, Queen of Scots, being led to her execution - dipinto di Laslett John Pott, 1871
Mary, Queen of Scots, being led to her execution – dipinto di Laslett John Pott, 1871

È l’8 febbraio 1587, ore otto del mattino. Qualcuno bussa alla porta, sono venuti a prendere la regina per condurla al patibolo. Mary Stuart finisce di recitare le sue preghiere e poi segue il capo della polizia lungo i corridoi del castello di Fotheringhay, sorretta a destra e a sinistra dai suoi servitori. Porta al collo un crocifisso d’oro, un rosario incastonato legato alla cintola e una croce d’avorio stretta in mano, per rappresentare al meglio la scena che vuole mostrare al mondo, ossia quella della martire della causa cattolica, vittima dei suoi nemici eretici. Una volta giunta fuori dalla grande sala, Mary richiede che anche le donne del suo seguito possano assistere all’esecuzione e questa volta, non senza numerose obiezioni, le viene concesso di essere accompagnata da sei dei suoi servitori. Andrew Melville, il suo fedele maggiordomo, la segue reggendo il suo strascico. Il piccolo corteo attraversa il grande atrio del castello fino a raggiungere la piattaforma del patibolo, sfilando davanti a duecento nobili venuti in tutta fretta per assistere allo spettacolo. Centinaia e centinaia di popolani sono ammassati fuori dal portone del castello, attratti dalla notizia della decapitazione di una regina.

Maria Stuarda si avvia al patibolo - dipinto di Scipione Vnnutelli, 1861
Maria Stuarda si avvia al patibolo – dipinto di Scipione Vnnutelli, 1861
Execution of Mary, queen of scots - dipinto di  Robert Herdman ,1867
Execution of Mary, queen of scots – dipinto di Robert Herdman ,1867

Mary sale a testa alta i gradini verso il patibolo, dice a voce alta le ultime preghiere, infine, dopo che le sue donne l’hanno aiutata a spogliarsi, si inginocchia esclamando il salmo in latino:

“In te, Domine, confido. Ne confundar in Aeternum.

In te, Signore, confido. Non ne resterò delusa” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 364)

Non le resta che piegare la testa sul ceppo ora, ed in un attimo la sua vita ha fine.

La dama di compagnia Jane Kennedy benda la regina Mary Stuart - dipinto di Abel de Pujol
La dama di compagnia Jane Kennedy benda la regina Mary Stuart – dipinto di Abel de Pujol

Il primo colpo del boia non va a buon fine, e nemmeno il secondo. Solo al terzo colpo la testa si stacca dal tronco. Il boia afferra la testa per mostrarla al pubblico ma quando l’afferra per i capelli gli resta in mano solo una parrucca e la testa rotola via, sul pavimento di legno. Quando alla fine il carnefice l’afferra, si scorge soltanto la testa di una vecchia, con i capelli grigi e rasati. Si dice che le labbra di Mary Stuart abbiano tremato ancora per un quarto d’ora, dopo l’esecuzione, e che si sentisse stridore di denti. Il pubblico è paralizzato dalla sorpresa e dall’orrore e la folla viene percorsa da una fremito quando il corpo decapitato della regina di Scozia inizia a muoversi. Dall’ampia gonna esce improvvisamente uno dei suoi cagnolini prediletti di Mary, che era riuscito, nascondendosi, a seguirla fin sul patibolo. Mary Stuart, Regina di Scozia, Delfina di Francia e legittima erede al trono di Inghilterra muore così, all’età di 44 anni, dopo aver passato quasi metà della sua esistenza come una prigioniera e lasciandosi alle spalle una vita fatta di passioni, scandali e scelte sbagliate.

Xilografia che illustra l'esecuzione di Mary Stuart con descrizione in olandese. Sulla sinistra si vedono i suoi averi che vengono bruciati.
Xilografia che illustra l’esecuzione di Mary Stuart con descrizione in olandese. Sulla sinistra si vedono i suoi averi che vengono bruciati.

Qui potete trovare un resoconto (in inglese) dell’esecuzione di Mary Stuart scritto da Robert Wynkfielde;
Qui invece trovate l’ultima lettera (in inglese) scritta da Mary Stuart la sera prima dell’esecuzione, indirizzata ad Enrico III di Francia
Qui il testamento  (in inglese) scritto da Mary la notte prima dell’esecuzione con le disposizioni per la gestione del suo denaro e del suo patrimonio

La notizia della morte della sovrana scozzese viene accolta a Londra con grida di giubilo. A Cecil spetta il compito di informare la regina d’Inghilterra, apparentemente ignara dell’esecuzione. Elisabetta è una brava attrice, chissà quanto si è preparata nei giorni precedenti a simulare lo sdegno nell’apprendere la notizia. Accoglie l’annuncio con rabbia, va su tutte le furie, chiama traditori i suoi consiglieri, che l’hanno ingannata macchiando il suo onore ed il suo prestigio agli occhi di tutto il mondo. Tra i singhiozzi insulta con modi rudi l’anziano collaboratore per aver osato, assieme agli altri traditori, agire senza un suo permesso esplicito. Accusa Davison di aver agito di propria iniziativa contro il suo volere ed esige che si confermi in tutta Europa che la colpa dell’esecuzione di Mary Stuart ricade esclusivamente sulle spalle di questo servitore, mentre lei ne era del tutto ignara. Il patto di assumersi collettivamente la responsabilità, stipulato nel consiglio segreto tra gli undici nobili presenti, viene prontamente dimenticato: Davison viene condannato a pagare una multa di 10.000 sterline, somma che non può pagare, per cui viene messo in prigione. In seguito tuttavia egli percepirà segretamente una pensione ma finche Elisabetta sarà viva non potrà più presentarsi a corte, la sua carriera è rovinata.

Il corpo di Mary Stuart, una volta imbalsamato, rimase per sei mesi in una bara di piombo senza sepoltura ed infine, a dispetto del suo volere di essere sepolta in Francia, venne seppellita nella Cattedrale di Peterborough, nel Cambridgeshire, di fronte alla tomba di Caterina d’Aragona, altra sfortunata regina, prima moglie di Enrico VIII. Nel 1612 il suo corpo fu riesumato per ordine di suo figlio, Giacomo Stuart, e venne nuovamente sepolta nella cappella di Westminster.
Le sue interiora, rimosse durante il processo di imbalsamazione, furono sepolte in segreto nel castello di Fotheringhay, e i suoi vestiti ed il baldacchino del patibolo vennero bruciati per non lasciare nessuna reliquia. In Francia, dove aveva trascorso serenamente gli anni della sua giovinezza e dove era stata per breve tempo moglie del delfino e poi re, venne celebrata una messa solenne in suo ricordo, nella chiesa di Notre Dame, su ordine del cognato Henry III. Dopo la sua esecuzione vennero diffuse per tutta l’Europa delle incisioni sul legno che la raffiguravano. L’intento di Elisabetta di eliminare una pretendente al trono scomoda, di porre fine per sempre alla sua vita e di far cadere la sua storia nell’oblio è dunque venuto meno: condannando a morte la sua nemica, la regina di Inghilterra ha solo contribuito ad aumentarne la popolarità e a farla diventare un’eroina e martire cattolica, ricordata nei secoli a venire, fino ai nostri giorni.

The head of Mary queen of scots after her execution - dipinto di federico zuccaro
The head of Mary queen of scots after her execution – dipinto di federico zuccaro

EPILOGO

“Nella mia fine è il mo principio”. La frase scritta da Mary Stuart su di un ricamo durante la sua adolescenza in Francia si è rivelata profetica. Nel 1603, sedici anni dopo la sua esecuzione il figlio James viene incoronato Re di Inghilterra e Scozia. Elisabetta, eterna rivale e sempre fermamente contraria a concedere a Mary la successione al trono inglese, muore all’età di 70 anni, senza mai essersi sposata e senza lasciare eredi. Nel figlio di Mary Stuat si riuniscono per sempre le due corone, quella inglese e quella scozzese e la lotta proseguita per generazioni ha finalmente fine. Nel 1612 James I fa trasportare il corpo di sua madre dalla chiesa di Peterborough, con una solenne fiaccolata, nella cappella dei re d’Inghilterra nell’abbazia di Westminster: la tomba di Mary Stuart viene posta proprio accanto a quella di Elisabetta. Le due regine che si sono tanto odiate, che hanno combattuto una battaglia lunga un’intera vita, ora riposano vicine, una accanto all’altra, come due buone sorelle.

La tomba di Mary Stuart nell'abazia di Westminster
La tomba di Mary Stuart nell’abazia di Westminster
La
La “death mask” di Mary Stuart. Fatta di cera, la maschera fu posta sul viso di Mary dopo la sua esecuzione per preservare i suoi tratti per sempre. Ciglia, sorpacciglia, capelli e colore della pelle furono aggiunti successivamente per renderla ancora più naturale. Per più di 250 anni la maschera è appartenuta alla famiglia Hamilton, la cui dinastia era legata a quella di Mary in passato.
Discendenza futura di Mary Stuart fino ai giorni nostri
Discendenza futura di Mary Stuart fino ai giorni nostri

(Fonte: Maria Stuarda, Stefan Zweig)

Parte 1: L’infanzia e l’adolescenza in Francia
Parte 2: Il ritorno in Scozia ed il secondo matrimonio
Parte 3: L’assassinio di Davide Rizzio
Parte 4: L’omicidio di Darnley
Parte 5: Il terzo matrimonio e la prigionia a Loch Leven
Parte 6: La prigionia inglese
Parte 7: Verso la fine

Mary Stuart, storia di una Regina di Scozia / Parte 6

PARTE 6 (1568 – 1584 ): La prigionia inglese

Ma qual è invece il destino che aspetta Bothwell? Nonostante la promessa di un salvacondotto, venne ricercato per terra e per mare con una taglia di mille sterline scozzesi sulla testa. Dopo la disfatta di Carberry Hill Bothwell fuggì verso le Isole Orcadi, intenzionato a sferrare un altro attacco contro i lord per rimettere Mary sul trono. Qui, inseguito da Moray, riuscì per un pelo a scappare a bordo di una piccola barca verso l’oceano aperto dove però venne colpito da una terribile tempesta e spinto sulle coste della Norvegia. Catturato da una nave da guerra danese riuscì per un breve periodo a nascondere la propria identità confondendosi tra i marinai ma quando venne smascherato iniziò per lui un lungo calvario: spostato da un posto all’altro, di prigione in prigione, passò gli ultimi anni della sua vita in cella, in terribili condizioni, e morì nell’aprile del 1578, solo e pazzo. Il suo corpo è sepolto nella cripta di Faarevejie Church vicino a Dragsholm, Danimarca,. Si dice che il suo fantasma appaia ogni notte in sella ad un cavallo, nel cortile del castello di Dragsholm, ultimo luogo della sua prigionia e che oggi è diventato un ristorante ed hotel. Nel 1858 il corpo mummificato di Bothwell fu disseppelito e lasciato per molti anni in mostra, chiuso in una teca di vetro e diventando un’attrazione turistica finchè alcuni lontani discendenti non protestarono ritenendolo un atto osceno.

Un'immagine del coperchio della bara di Bothwell nella  Faarevejie Church e delle foto del suo corpo mummificato riesumato nel 1885
Un’immagine del coperchio della bara di Bothwell nella Faarevejie Church e delle foto del suo corpo mummificato riesumato nel 1858

La notizia dell’arrivo in Inghilterra di Mary Stuart lascia chiaramente sgomenta Elisabetta. Certo, lei stessa nei mesi passati aveva cercato di proteggere Mary dai suoi sudditi ribelli garantendole il suo appoggio, e nelle lettere che le due si erano scritte nel corso degli anni era sempre stata disponibile a sostenerla ed aiutarla, dichiarandole ogni volta il suo affetto e la sua amicizia. Era più una formalità però, una solidarietà tra regine, dato che nella realtà aveva sempre cercato di evitare d’incontrarla e non l’aveva mai invitata a farle visita. Il suo stupore deve essere stato tantissimo quando Mary le annuncia di essere in Inghilterra, da un giorno all’altro, senza preavviso, ed esige di essere ricevuta dalla regina.

“Vi prego di mandarmi a prendere il prima possibile. Mi trovo infatti in condizioni pietrose non solo per una regina, ma anche per una semplice nobildonna. Non ho nient’altro che la mia vita che ho potuto salvare cavalcando il primo giorno, per sessanta miglia, nella campagna. Ve ne renderete conto voi stessa se, come spero, avrete compassione della mia immensa sventura.” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 267)

Ritratto ad opera di Richard Burchett
Ritratto ad opera di Richard Burchett

Probabilmente un briciolo di compassione in Elisabetta ci fu in quel momento, e ciò si capisce dal comportamento estremamente indeciso e volubile che dimostrò durante gli anni seguenti in merito alla condizione della cugina, non riuscendo mai a prendere una decisione definitiva su ciò che era giusto fare ed infine, un volta fatta la sua scelta, facendone cadere la responsabilità su altri. Accanto ad Elisabetta in quegli anni c’è William Cecil, suo primo consigliere, ministro degli esteri e delle finanze, forte oppositore di Mary Stuart e fermamente convinto della sua colpevolezza nell’assassinio di Darnley. È lui, che ritiene la regina di Scozia la nemica giurata dell’Inghilterra e del Protestantesimo, a convincere Elisabetta a non aiutarla: il destino le ha donato la vittoria sulla sua rivale, che è precipitata nel disonore e che, lei che per anni ha rivendicato la corona inglese, ora ha perso anche la propria. Anziché negare a Mary aiuto e soggiorno politico o viceversa respingerla fuori dai confine del Paese, Elisabetta, spinta da Cecil, trama un modo per renderla inoffensiva per sempre. Così Mary Stuart, che si era recata in Inghilterra in cerca d’aiuto, si ritrova, dapprima inconsapevolmente, ancora una volta prigioniera: con astuzie, menzogne e perfide promesse Elisabetta nega alla cugina di lasciare il Paese e nel frattempo cerca di creare un motivo per giustificare una sua prigionia. Poco dopo aver ricevuto la lettera della regina scozzese, Elisabetta invia due membri fedeli dell’altra nobiltà, Lord Scrope e Lord Knollys, a Carlisle per scortare Mary ed in realtà per controllare segretamente la donna, impedendole tutte le visite, sequestrandole la corrispondenza e riferendo immediatamente a Londra tutto ciò che dice. A poco a poco si comunica a Mary che Elisabetta non è disposta a riceverla prima che si sia scagionata ufficialmente da tutte le accuse e lei si dichiara pronta a giustificarsi, ma solo davanti ad un suo pari, la regina di Inghilterra. La risposta di Elisabetta è dolce come il miele ma pungente come uno spillo:

“Madame, ho appreso dal mio Lord Herries il vostro desiderio di difendervi in mia presenza da tutte le accuse che gravano su di voi. Oh, Madame, non c’è persona sulla terra che più di me desideri ascoltare le vostre giustificazioni. Nessuno presterebbe più volentieri orecchio a qualsiasi risposta che ripristini il vostro onore. Ma non posso mettere in gioco, per la vostra causa, la mia reputazione. A dirvi la verità si dice già di me che io sia più disposta a difendere la vostra causa che ad aprire gli occhi su quelle cose di cui vi accusano e vostri sudditi. […] Giuro solennemente sulla mia parola di sovrana che né i vostri sudditi, né alcun consiglio che io dovessi ricevere dai miei consiglieri mi indurranno ad esigere da voi qualcosa che possa danneggiarvi o ledere il vostro onore. […] Vi pare strano che io non vi permetta di vedermi? Vi prego, mettetevi nei miei panni. Se sarete assolta da questo sospetto, vi accoglierò con tutti gli onori, ma fino a quel momento non posso. Ma dopo, lo giuro dinanzi a Dio, non ci sarà una persona di migliore volontà, e di tutte le gioie terrene questa per me sarà la più grande” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 273)

Non ci sarà nessuna giustificazione personale al cospetto di Elisabetta, bensì un’inchiesta, un processo sugli avvenimenti verificatisi in Scozia. La risposta di Mary è concitata ed orgogliosa:

“Helàs (ahimè) Madame! Dove avete mai sentito che un principe sia stato criticato per aver prestato personalmente orecchio alle lamentele di coloro che proclamano di essere stati ingiustamente accusati? Non pensiate, Madame, che io sia venuta qui per salvare la mia vita. Né il mondo, né la Scozia mi hanno rinnegata, ma sono venuta per ripristinare il mio onore e trovare appoggio, in modo da punire i miei falsi accusatori, e non per rendere conto a voi in quanto mia pari. Ho scelto voi tra tutti i principi in quanto mia parente più prossima e perfaicte amye, per poter accusare dinanzi a voi i miei sudditi, perché credevo che avreste considerato un onore essere chiamata a ripristinare l’onore di una regina” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 274)

In effetti, come dice S.Zweig “la regina di Inghilterra non ha alcuna sovranità sulla regina di Scozia, non ha il diritto di aprire nessuna inchiesta su un assassinio avvenuto in un paese straniero, né quello di immischiarsi nel conflitto di una principessa straniera coi suoi sudditi”. Nonostante le proteste, Mary viene trasferita da Carlisle al castello di Bolton nello Yorkshire. È l’inizio della sua lunga cattività in Inghilterra, che durerà per i prossimi 20 anni. Completamente sola e tenuta sotto stretta sorveglianza, piano piano la resistenza della regina scozzese si fa sempre meno combattiva finchè, arrendendosi, si dichiara d’accordo ad affrontare l’inchiesta.

Mary queen of Scots at prayer - dipinto di Patrick William Adam
Mary queen of Scots at prayer – dipinto di Patrick William Adam

Nell’ottobre 1568 il processo ha inizio: da una parte i lord, che possono comparire di persona armati di tutte le prove; dall’altra Mary Stuart che può solo farsi rappresentare da due persone di fiducia, presentando le sue accuse da lontano e attraverso intermediari. Il processo si rivela subito parziale e soprattutto ricco di colpi di scena, trasformandosi inaspettatamente in una commedia: colpevoli quanto lei nella morte di Darnley, essendo stati a conoscenza dei piani omicidi ma non avendoli denunciati, Moray e i lord accusano solo Bothwell per l’accaduto, tralasciando di incolpare la regina. Fatto ancora più strano, Lord Norfolk, principale commissario inglese durante l’inchiesta, dopo un colloquio privato con il segretario di Stato scozzese Maitland, inverte improvvisamente rotta e si schiera a favore della regina scozzese. Per porre fine a questa ridicola situazione, il 25 novembre il processo viene spostato da York a Westminster, direttamente sotto lo sguardo attento della regina Elisabetta, che richiede ora a gran voce che le lettere dello scrigno vengano presentate sul tavolo delle trattative. Dopo un iniziale rifiuto da parte dei lord, i sonetti e le lettere d’amore all’amante Bothwell vengono dunque letti per ben due volte, in due giorni consecutivi, alla presenza di un sempre maggior numero di persone. Al momento di verificarne l’autenticità confrontando le firme di Mary Stuart nei sonetti e nelle lettere inviate ad Elisabetta, i rappresentanti della regina scozzese lasciano la sala: l’ennesima prova a favore dell’autenticità delle lettere. Il 10 gennaio 1568 viene infine solennemente letto il verdetto: la ribellione dei lord viene approvata, poiché non è stato presentato nulla contro di loro. Per quanto riguarda Mary Stuart invece, le accuse contro di lei vengono definite “non sufficientemente” compromettenti: il sospetto continua a pesare su di lei e si è trovato un pretesto per continuare a tenerla prigioniera. Elisabetta è convinta di averla in pugno, ma sarà proprio questo tentativo di umiliarla, l’ingiustizia subita, che riscatteranno Mary Stuart dinanzi al mondo intero, trasformandola in un personaggio leggendario.

ritratto di anonimo
ritratto di anonimo

Da qui in poi Mary vivrà in costante prigionia; una cattività lunga 20 anni, monotona, che vede scorrere inesorabilmente e con pigra lentezza gli anni della sua giovinezza. La regina di Scozia viene spostata di castello in castello, Bolton, Chatsworth, Sheffield, Tutbury, Wingfield e Fotheringhay ma non verrà mai trattata come una vera prigioniera. Le vengono concesse tutte le comodità che si convegono a una regina e per vent’anni Elisabetta pagherà cinquantadue sterline alla settimana per questa ospitalità non richiesta: Mary risiede nei castelli inglesi come una principessa, mangia esclusivamente su piatti d’argento, le stanze sono illuminate da costose candele di cera, i pavimenti sono coperti da preziosi tappeti turchi, ha al suo servizio un’intera schiera di damigelle d’onore, domestiche e ancelle, una corte in miniatura di quasi cinquanta persone. Le manca solo una cosa, l’unica, la più sacra, la più importante: la libertà. Gli anni di Mary Stuart trascorrono apparentemente tranquilli e sereni: la sua giornata non si distingue da quella di altre donne della nobiltà che vivono tutta la vita in un castello, cavalcando, andando a caccia (circondata ovviamente dalle guardie), giocando a palla e praticando altri sport, ricamando, leggendo, ricevendo ospiti dai castelli vicini attraverso i quali Mary si tiene informata sugli avvenimenti nelle corti di tutto il mondo. Nel tempo si appassiona gli animali, si fa mandare dalla Francia cani di ogni razza, alleva uccelli canori, tiene lei stessa una piccionaia e cura i fiori del giardino. Osservandola esteriormente sembrerebbe una normale donna felice. Nella realtà la regina scozzese è spesso triste e malata, soffre di reumatismi e di uno strano dolore al fianco, il suo corpo si appesantisce anno dopo anno e le sue gambe spesso si gonfiano così tanto che quasi non riesce a muoversi. Si avvia sempre più verso la vecchiaia, e i suoi sonetti, un tempo ardenti, si fanno via via più malinconici, rassegnati:

“Chi, ahimè, sono io ormai e a che serve la mia vita? Non sono che un corpo privato del cuore, un’ombra vana, un oggetto di infelicità, che nulla più desidera se non morire” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 296)

Uno dei tanti arazzi realizzati da Mary Stuart, ricamato durante gli anni della prigionia in Inghilterra
Uno dei tanti arazzi realizzati da Mary Stuart, ricamato durante gli anni della prigionia in Inghilterra

Durante quei lunghi anni Mary Stuart non si è mai realmente arresa al proprio destino. Nella sua stanza, in gran segreto, continua a tessere complotti ed intrighi per uscire dalla sua penosa situazione, redige messaggi politici per gli ambasciatori francesi, spagnoli e papali e per i suoi sostenitori scozzesi ed in Olanda. Le lettere, scritte utilizzando elaborati sistemi cifrati che cambiano ogni mese, vengono ininterrottamente spedite dalla sua stanza a Parigi, Madrid, dal Papa, e viceversa. Si ricorre a numerosi trucchi per far uscire ed entrare la corrispondenza della regina nei castelli dove risiede: “i messaggi vengono nascosti nella biancheria, tra i libri, in bastono svuotati dell’interno, sotto il coperchio di scrigni per gioielli, a volte anche dietro il mercurio per gli specchi. Vengono aperte le suole delle scarpe per scrivervi sopra messaggi con inchiostro invisibile, vengono preparate parrucche speciali con rotolini di carta avvolti nei riccioli; nei libri che Mary si fa mandare da Parigi o da Londra sono sottolineate, in base a un determinato codice, singole lettere che insieme formano parole, mentre i documenti più importanti se li cuce il suo confessore dentro la stola.” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 297). Nonostante i guardiani e i controllori che Elisabetta le ha affiancato, la personalità combattiva di Mary Stuart non cambia e la sua pericolosità per l’Inghilterra non accenna a diminuire. Tuttavia, l’energia inesauribile che Mary dimostra in questo periodo è tristemente inutile: tutte le varie congiure e i complotti che ella istiga senza interruzione sono destinati al fallimento e, nel corso degli anni, uno dopo l’altro i suoi amici vengono catturati e rinchiusi nelle celle della Torre, torturati per ottenere i nomi degli altri complici.

Mary queen of scots at Fotheringhay - dipinto di John Duncan, 1929
Mary queen of scots at Fotheringhay – dipinto di John Duncan, 1929

Ma si tratta di audacia o di follia, questo continuo combattere dal carcere con la regina più potente della terra? Se Mary si fosse piegata, se si fosse arresa, rinunciando ai suoi diritti al trono scozzese ed inglese forse sarebbe stata liberata e si sarebbe salvata la vita. Lottando continuamente, sfidando scioccamente la cugina è andata inesorabilmente verso la morte, orgogliosa fino all’ultimo, preferendo essere una regina prigioniera piuttosto che una regina senza corona. Se noi lo valutiamo ora, potremmo definire il comportamento della Stuart coraggioso ma decisamente folle e sciocco. Ma è troppo comodo valutare gli avvenimenti storici dal punto di vista del dopo, quando ormai ne conosciamo già le conseguenze ed i risultati: in realtà, per quasi vent’anni, l’esito della lotta tra Mary ed Elisabetta è stato costantemente incerto. Alcune delle congiure organizzate per portare Mary Stuart al trono avrebbero potuto davvero minacciare la vita di Elisabetta e in diverse occasioni il colpo l’ha mancata di pochi millimetri. Per primi insorgono i nobili cattolici capeggiati da Northumberland, portando tutto il Nord in rivolta e solo a fatica la regina riottiene il controllo della situazione. Segue poi l’intrigo di Norfolk, nel quale il fior fiore della nobiltà inglese, tra cui molti amici di Elisabetta, appoggiano il suo piano di sposare la regina scozzese. Con la mediazione del fiorentino Ridolfi truppe spagnole e francesi sono già pronte a scendere in guerra per sostenere questa causa ma, ahimè, il vento, il tempo e il mare bloccano il piano. Un’altra volta ancora la fortuna non assiste la Stuart: Don Giovanni d’Austria, figlio naturale di Carlo V, fratellastro di Filippo II di Spagna aspira alla mano della prigioniera ed ha già preparato un esercito in Olanda ed ha tutti i piani pronti per liberarla, quando viene colpito da una gravissima malattia che lo porta in poco temo alla morte. Ecco un altro fattore determinante nella vita di Mary Stuart: la fortuna, dopo la morte del primo marito in Francia, non è mai stata dalla sua parte. Tremendamente vere sono le parole pronunciate da Norfolk sul patibolo, poco prima della sua esecuzione:

“Nulla di ciò che viene da lei o per lei avviato va mai a finir bene.” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 302)

Mary durante la sua cattività in Inghilterra - dipinto di Nicholas Hilliard, 1578
Mary durante la sua cattività in Inghilterra – dipinto di Nicholas Hilliard, 1578

(Fonte: Maria Stuarda, Stefan Zweig)

Parte 1: L’infanzia e l’adolescenza in Francia
Parte 2: Il ritorno in Scozia ed il secondo matrimonio
Parte 3: L’assassinio di Davide Rizzio
Parte 4: L’omicidio di Darnley
Parte 5: Il terzo matrimonio e la prigionia a Loch Leven
Parte 6: La prigionia inglese
Parte 7: Verso la fine

Mary Stuart, storia di una Regina di Scozia / Parte 5

Parte 5 (1567 – 1568):  Il terzo matrimonio e la prigionia a Lochleven

“Tutto ciò che Maria Stuarda intraprende nelle settimane dopo il delitto non è spiegabile con la ragione, ma solo come confusione provocata da un’angoscia senza fine. Anche in mezzo alla sua follia dovrebbe riconoscere a sé stessa che ha distrutto e annullato per sempre il suo onore, che tutta la Scozia, che l’Europa intera avrebbero ritenuto una provocazione inaudita della legge e del costume un matrimonio celebrato poche settimane dopo l’assassinio e per di più con l’assassino del marito (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 222)

Senza nemmeno aspettare la fine del lutto Mary Stuart si adopera per mettere provocatoriamente sulla testa dell’assassino la corona dell’assassinato. E lo fa con una fretta clamorosa, che fa intendere che ci sia un altro motivo, oltre all’amore accecante, che spinge la regina a sposare Bothwell il più in fretta possibile: una gravidanza. Mary porta in grembo un figlio, non di Darnley ma proprio di Bothwell e ad una regina non è permesso di mettere al mondo un figlio illegittimo, men che meno nelle circostanze in cui si trova. Il matrimonio è dunque l’unico modo per salvare l’onore del bambino, per difenderne i diritti fingendo che sia stato concepito con il defunto marito, e deve essere celebrato il prima possibile per poter fare credere a tutti che il figlio sia nato prematuramente: se passano troppi mesi, sarà ovvio che il padre di quel bambino è in realtà Bothwell. Ma per una regina vedova di Scozia non è lecito sposare un uomo famigerato e sospetto come il suo amante, a meno che…

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Mary Stuart, storia di una Regina di Scozia / Parte 4

Parte 4 (1566-1567): L’omicidio di Darnley

Con l’assenza di Darnley dalla vita a palazzo, il legame tra Mary Stuart e Bothwell si rafforza sempre più. È a questo punto della storia che assistiamo ad un cambiamento radicale nella vita e nel carattere della regina, che da padrona, da sovrana, diventa serva, schiava della passione che la lega a Bothwell. S.Zweig nella sua biografia della Stuart analizza il rapporto con Bothwell basandosi su fonti storiche costituite dalle cosiddette “lettere dello scrigno”, ossia quelle lettere e quei sonetti scritti da Maria Stuarda all’amante e ritrovati in uno scrigno d’argento sigillato ed usate come prova contro di lei al processo. Ci sono pareri divergenti sull’effettiva autenticità di queste lettere e nonostante siano state analizzate e verificate più e più volte, qualcuno sostiene che le originali siano state falsificate proprio per screditare la regina e costituire una (falsa) e schiacciante prova del suo coinvolgimento nell’uccisione del marito. In uno dei sonetti contenuto nello scrigno Mary scrive, riferendosi a Bothwell

“Anche per lui verso abbondanti lacrime, perché possedette questo corpo quando ancora non ne aveva l’anima” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 170).

James Hepburn Conte Bothwell in un ritratto del 1566
James Hepburn Conte Bothwell in un ritratto del 1566

Da qui e da altre lettere si deduce che ci deve essere stato qualcosa che ha scatenato improvvisamente la passione tra i due e S.Zweig sostiene che Bothwell, durante uno dei molti viaggi di piacere nei quali in qualità di primo consigliere e comandante dell’esercito accompagnava la regina, avrebbe potuto commettere una sorta di aggressione, un qualche atto di violenza nei suoi confronti. Ora, non possiamo sapere se si sia trattato realmente di un atto violento, di una manifestazione di un sentimento represso, o se sia stata la stessa Mary ad istigare ed incoraggiare, magari inconsciamente, tale gesto. L’infelice passione tra i due inizia proprio da qui, violentemente ed improvvisamente, lasciando Maria Stuarda completamente annientata e dominata da questo amore irrazionale che la consuma sempre più. Da quel momento è solo Bothwell che conta e Mary è disposta a tutto pur di avere lui ed il suo amore. Una relazione che toglie alla Stuart la razionalità e la dignità che l’avevano caratterizzata fino ad allora e la fa assomigliare sempre più a Darnley, un heart of vax, un cuore di cera come lei stessa definiva il marito, rendendola completamente succube dell’amante, come si evince dai sonetti composti da lei stessa in quel periodo:

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Mary Stuart, storia di una regina di Scozia / Parte 3

Parte 3 (1556)– L’assassionio di Davide Rizzio

Davide Rizzio (o Riccio) è un giovane piemontese di circa 28 anni, arrivato alla corte scozzese al seguito dell’ambasciatore di Savoia ed assunto da Mary Stuart con uno stipendio annuale di 65£ per la sua grandissima abilità nel canto, nella poesia e nella composizione di melodie. La sua brillante intelligenza, la sua vasta cultura artistica e la sua conoscenza delle lingue lo fanno rapidamente ascendere da semplice scrivano a segretario privato della regina. In poco tempo questo giovane musicista diventa il più fidato consigliere di Mary Stuart, custode del sigillo del regno e dei segreti di Stato, largamente ricompensato tanto da diventare in breve un gran signore. Non solo dipendente, ma anche amico: Davide si intrattiene fino a tarda notte nelle stanze della regina, mangia alla sua tavola, viene consultato prima di prendere qualsiasi decisione.

Ritratto di Davide Rizzio
Ritratto di Davide Rizzio

Presto si diffondono voci e mormorii, si dice che Rizzio sia una spia inviata dal Papa, che assieme alla regina stia progettando di sconfiggere la Riforma per far trionfare il cattolicesimo. Un gruppo di lord protestanti organizza un complotto per bloccare in tempo ogni piano del genere, ponendo a capo e protezione della congiura Darnley, il re. Marito contro moglie, re contro regina.

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