Mary Stuart, storia di una Regina di Scozia / Parte 6

PARTE 6 (1568 – 1584 ): La prigionia inglese

Ma qual è invece il destino che aspetta Bothwell? Nonostante la promessa di un salvacondotto, venne ricercato per terra e per mare con una taglia di mille sterline scozzesi sulla testa. Dopo la disfatta di Carberry Hill Bothwell fuggì verso le Isole Orcadi, intenzionato a sferrare un altro attacco contro i lord per rimettere Mary sul trono. Qui, inseguito da Moray, riuscì per un pelo a scappare a bordo di una piccola barca verso l’oceano aperto dove però venne colpito da una terribile tempesta e spinto sulle coste della Norvegia. Catturato da una nave da guerra danese riuscì per un breve periodo a nascondere la propria identità confondendosi tra i marinai ma quando venne smascherato iniziò per lui un lungo calvario: spostato da un posto all’altro, di prigione in prigione, passò gli ultimi anni della sua vita in cella, in terribili condizioni, e morì nell’aprile del 1578, solo e pazzo. Il suo corpo è sepolto nella cripta di Faarevejie Church vicino a Dragsholm, Danimarca,. Si dice che il suo fantasma appaia ogni notte in sella ad un cavallo, nel cortile del castello di Dragsholm, ultimo luogo della sua prigionia e che oggi è diventato un ristorante ed hotel. Nel 1858 il corpo mummificato di Bothwell fu disseppelito e lasciato per molti anni in mostra, chiuso in una teca di vetro e diventando un’attrazione turistica finchè alcuni lontani discendenti non protestarono ritenendolo un atto osceno.

Un'immagine del coperchio della bara di Bothwell nella  Faarevejie Church e delle foto del suo corpo mummificato riesumato nel 1885
Un’immagine del coperchio della bara di Bothwell nella Faarevejie Church e delle foto del suo corpo mummificato riesumato nel 1858

La notizia dell’arrivo in Inghilterra di Mary Stuart lascia chiaramente sgomenta Elisabetta. Certo, lei stessa nei mesi passati aveva cercato di proteggere Mary dai suoi sudditi ribelli garantendole il suo appoggio, e nelle lettere che le due si erano scritte nel corso degli anni era sempre stata disponibile a sostenerla ed aiutarla, dichiarandole ogni volta il suo affetto e la sua amicizia. Era più una formalità però, una solidarietà tra regine, dato che nella realtà aveva sempre cercato di evitare d’incontrarla e non l’aveva mai invitata a farle visita. Il suo stupore deve essere stato tantissimo quando Mary le annuncia di essere in Inghilterra, da un giorno all’altro, senza preavviso, ed esige di essere ricevuta dalla regina.

“Vi prego di mandarmi a prendere il prima possibile. Mi trovo infatti in condizioni pietrose non solo per una regina, ma anche per una semplice nobildonna. Non ho nient’altro che la mia vita che ho potuto salvare cavalcando il primo giorno, per sessanta miglia, nella campagna. Ve ne renderete conto voi stessa se, come spero, avrete compassione della mia immensa sventura.” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 267)

Ritratto ad opera di Richard Burchett
Ritratto ad opera di Richard Burchett

Probabilmente un briciolo di compassione in Elisabetta ci fu in quel momento, e ciò si capisce dal comportamento estremamente indeciso e volubile che dimostrò durante gli anni seguenti in merito alla condizione della cugina, non riuscendo mai a prendere una decisione definitiva su ciò che era giusto fare ed infine, un volta fatta la sua scelta, facendone cadere la responsabilità su altri. Accanto ad Elisabetta in quegli anni c’è William Cecil, suo primo consigliere, ministro degli esteri e delle finanze, forte oppositore di Mary Stuart e fermamente convinto della sua colpevolezza nell’assassinio di Darnley. È lui, che ritiene la regina di Scozia la nemica giurata dell’Inghilterra e del Protestantesimo, a convincere Elisabetta a non aiutarla: il destino le ha donato la vittoria sulla sua rivale, che è precipitata nel disonore e che, lei che per anni ha rivendicato la corona inglese, ora ha perso anche la propria. Anziché negare a Mary aiuto e soggiorno politico o viceversa respingerla fuori dai confine del Paese, Elisabetta, spinta da Cecil, trama un modo per renderla inoffensiva per sempre. Così Mary Stuart, che si era recata in Inghilterra in cerca d’aiuto, si ritrova, dapprima inconsapevolmente, ancora una volta prigioniera: con astuzie, menzogne e perfide promesse Elisabetta nega alla cugina di lasciare il Paese e nel frattempo cerca di creare un motivo per giustificare una sua prigionia. Poco dopo aver ricevuto la lettera della regina scozzese, Elisabetta invia due membri fedeli dell’altra nobiltà, Lord Scrope e Lord Knollys, a Carlisle per scortare Mary ed in realtà per controllare segretamente la donna, impedendole tutte le visite, sequestrandole la corrispondenza e riferendo immediatamente a Londra tutto ciò che dice. A poco a poco si comunica a Mary che Elisabetta non è disposta a riceverla prima che si sia scagionata ufficialmente da tutte le accuse e lei si dichiara pronta a giustificarsi, ma solo davanti ad un suo pari, la regina di Inghilterra. La risposta di Elisabetta è dolce come il miele ma pungente come uno spillo:

“Madame, ho appreso dal mio Lord Herries il vostro desiderio di difendervi in mia presenza da tutte le accuse che gravano su di voi. Oh, Madame, non c’è persona sulla terra che più di me desideri ascoltare le vostre giustificazioni. Nessuno presterebbe più volentieri orecchio a qualsiasi risposta che ripristini il vostro onore. Ma non posso mettere in gioco, per la vostra causa, la mia reputazione. A dirvi la verità si dice già di me che io sia più disposta a difendere la vostra causa che ad aprire gli occhi su quelle cose di cui vi accusano e vostri sudditi. […] Giuro solennemente sulla mia parola di sovrana che né i vostri sudditi, né alcun consiglio che io dovessi ricevere dai miei consiglieri mi indurranno ad esigere da voi qualcosa che possa danneggiarvi o ledere il vostro onore. […] Vi pare strano che io non vi permetta di vedermi? Vi prego, mettetevi nei miei panni. Se sarete assolta da questo sospetto, vi accoglierò con tutti gli onori, ma fino a quel momento non posso. Ma dopo, lo giuro dinanzi a Dio, non ci sarà una persona di migliore volontà, e di tutte le gioie terrene questa per me sarà la più grande” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 273)

Non ci sarà nessuna giustificazione personale al cospetto di Elisabetta, bensì un’inchiesta, un processo sugli avvenimenti verificatisi in Scozia. La risposta di Mary è concitata ed orgogliosa:

“Helàs (ahimè) Madame! Dove avete mai sentito che un principe sia stato criticato per aver prestato personalmente orecchio alle lamentele di coloro che proclamano di essere stati ingiustamente accusati? Non pensiate, Madame, che io sia venuta qui per salvare la mia vita. Né il mondo, né la Scozia mi hanno rinnegata, ma sono venuta per ripristinare il mio onore e trovare appoggio, in modo da punire i miei falsi accusatori, e non per rendere conto a voi in quanto mia pari. Ho scelto voi tra tutti i principi in quanto mia parente più prossima e perfaicte amye, per poter accusare dinanzi a voi i miei sudditi, perché credevo che avreste considerato un onore essere chiamata a ripristinare l’onore di una regina” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 274)

In effetti, come dice S.Zweig “la regina di Inghilterra non ha alcuna sovranità sulla regina di Scozia, non ha il diritto di aprire nessuna inchiesta su un assassinio avvenuto in un paese straniero, né quello di immischiarsi nel conflitto di una principessa straniera coi suoi sudditi”. Nonostante le proteste, Mary viene trasferita da Carlisle al castello di Bolton nello Yorkshire. È l’inizio della sua lunga cattività in Inghilterra, che durerà per i prossimi 20 anni. Completamente sola e tenuta sotto stretta sorveglianza, piano piano la resistenza della regina scozzese si fa sempre meno combattiva finchè, arrendendosi, si dichiara d’accordo ad affrontare l’inchiesta.

Mary queen of Scots at prayer - dipinto di Patrick William Adam
Mary queen of Scots at prayer – dipinto di Patrick William Adam

Nell’ottobre 1568 il processo ha inizio: da una parte i lord, che possono comparire di persona armati di tutte le prove; dall’altra Mary Stuart che può solo farsi rappresentare da due persone di fiducia, presentando le sue accuse da lontano e attraverso intermediari. Il processo si rivela subito parziale e soprattutto ricco di colpi di scena, trasformandosi inaspettatamente in una commedia: colpevoli quanto lei nella morte di Darnley, essendo stati a conoscenza dei piani omicidi ma non avendoli denunciati, Moray e i lord accusano solo Bothwell per l’accaduto, tralasciando di incolpare la regina. Fatto ancora più strano, Lord Norfolk, principale commissario inglese durante l’inchiesta, dopo un colloquio privato con il segretario di Stato scozzese Maitland, inverte improvvisamente rotta e si schiera a favore della regina scozzese. Per porre fine a questa ridicola situazione, il 25 novembre il processo viene spostato da York a Westminster, direttamente sotto lo sguardo attento della regina Elisabetta, che richiede ora a gran voce che le lettere dello scrigno vengano presentate sul tavolo delle trattative. Dopo un iniziale rifiuto da parte dei lord, i sonetti e le lettere d’amore all’amante Bothwell vengono dunque letti per ben due volte, in due giorni consecutivi, alla presenza di un sempre maggior numero di persone. Al momento di verificarne l’autenticità confrontando le firme di Mary Stuart nei sonetti e nelle lettere inviate ad Elisabetta, i rappresentanti della regina scozzese lasciano la sala: l’ennesima prova a favore dell’autenticità delle lettere. Il 10 gennaio 1568 viene infine solennemente letto il verdetto: la ribellione dei lord viene approvata, poiché non è stato presentato nulla contro di loro. Per quanto riguarda Mary Stuart invece, le accuse contro di lei vengono definite “non sufficientemente” compromettenti: il sospetto continua a pesare su di lei e si è trovato un pretesto per continuare a tenerla prigioniera. Elisabetta è convinta di averla in pugno, ma sarà proprio questo tentativo di umiliarla, l’ingiustizia subita, che riscatteranno Mary Stuart dinanzi al mondo intero, trasformandola in un personaggio leggendario.

ritratto di anonimo
ritratto di anonimo

Da qui in poi Mary vivrà in costante prigionia; una cattività lunga 20 anni, monotona, che vede scorrere inesorabilmente e con pigra lentezza gli anni della sua giovinezza. La regina di Scozia viene spostata di castello in castello, Bolton, Chatsworth, Sheffield, Tutbury, Wingfield e Fotheringhay ma non verrà mai trattata come una vera prigioniera. Le vengono concesse tutte le comodità che si convegono a una regina e per vent’anni Elisabetta pagherà cinquantadue sterline alla settimana per questa ospitalità non richiesta: Mary risiede nei castelli inglesi come una principessa, mangia esclusivamente su piatti d’argento, le stanze sono illuminate da costose candele di cera, i pavimenti sono coperti da preziosi tappeti turchi, ha al suo servizio un’intera schiera di damigelle d’onore, domestiche e ancelle, una corte in miniatura di quasi cinquanta persone. Le manca solo una cosa, l’unica, la più sacra, la più importante: la libertà. Gli anni di Mary Stuart trascorrono apparentemente tranquilli e sereni: la sua giornata non si distingue da quella di altre donne della nobiltà che vivono tutta la vita in un castello, cavalcando, andando a caccia (circondata ovviamente dalle guardie), giocando a palla e praticando altri sport, ricamando, leggendo, ricevendo ospiti dai castelli vicini attraverso i quali Mary si tiene informata sugli avvenimenti nelle corti di tutto il mondo. Nel tempo si appassiona gli animali, si fa mandare dalla Francia cani di ogni razza, alleva uccelli canori, tiene lei stessa una piccionaia e cura i fiori del giardino. Osservandola esteriormente sembrerebbe una normale donna felice. Nella realtà la regina scozzese è spesso triste e malata, soffre di reumatismi e di uno strano dolore al fianco, il suo corpo si appesantisce anno dopo anno e le sue gambe spesso si gonfiano così tanto che quasi non riesce a muoversi. Si avvia sempre più verso la vecchiaia, e i suoi sonetti, un tempo ardenti, si fanno via via più malinconici, rassegnati:

“Chi, ahimè, sono io ormai e a che serve la mia vita? Non sono che un corpo privato del cuore, un’ombra vana, un oggetto di infelicità, che nulla più desidera se non morire” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 296)

Uno dei tanti arazzi realizzati da Mary Stuart, ricamato durante gli anni della prigionia in Inghilterra
Uno dei tanti arazzi realizzati da Mary Stuart, ricamato durante gli anni della prigionia in Inghilterra

Durante quei lunghi anni Mary Stuart non si è mai realmente arresa al proprio destino. Nella sua stanza, in gran segreto, continua a tessere complotti ed intrighi per uscire dalla sua penosa situazione, redige messaggi politici per gli ambasciatori francesi, spagnoli e papali e per i suoi sostenitori scozzesi ed in Olanda. Le lettere, scritte utilizzando elaborati sistemi cifrati che cambiano ogni mese, vengono ininterrottamente spedite dalla sua stanza a Parigi, Madrid, dal Papa, e viceversa. Si ricorre a numerosi trucchi per far uscire ed entrare la corrispondenza della regina nei castelli dove risiede: “i messaggi vengono nascosti nella biancheria, tra i libri, in bastono svuotati dell’interno, sotto il coperchio di scrigni per gioielli, a volte anche dietro il mercurio per gli specchi. Vengono aperte le suole delle scarpe per scrivervi sopra messaggi con inchiostro invisibile, vengono preparate parrucche speciali con rotolini di carta avvolti nei riccioli; nei libri che Mary si fa mandare da Parigi o da Londra sono sottolineate, in base a un determinato codice, singole lettere che insieme formano parole, mentre i documenti più importanti se li cuce il suo confessore dentro la stola.” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 297). Nonostante i guardiani e i controllori che Elisabetta le ha affiancato, la personalità combattiva di Mary Stuart non cambia e la sua pericolosità per l’Inghilterra non accenna a diminuire. Tuttavia, l’energia inesauribile che Mary dimostra in questo periodo è tristemente inutile: tutte le varie congiure e i complotti che ella istiga senza interruzione sono destinati al fallimento e, nel corso degli anni, uno dopo l’altro i suoi amici vengono catturati e rinchiusi nelle celle della Torre, torturati per ottenere i nomi degli altri complici.

Mary queen of scots at Fotheringhay - dipinto di John Duncan, 1929
Mary queen of scots at Fotheringhay – dipinto di John Duncan, 1929

Ma si tratta di audacia o di follia, questo continuo combattere dal carcere con la regina più potente della terra? Se Mary si fosse piegata, se si fosse arresa, rinunciando ai suoi diritti al trono scozzese ed inglese forse sarebbe stata liberata e si sarebbe salvata la vita. Lottando continuamente, sfidando scioccamente la cugina è andata inesorabilmente verso la morte, orgogliosa fino all’ultimo, preferendo essere una regina prigioniera piuttosto che una regina senza corona. Se noi lo valutiamo ora, potremmo definire il comportamento della Stuart coraggioso ma decisamente folle e sciocco. Ma è troppo comodo valutare gli avvenimenti storici dal punto di vista del dopo, quando ormai ne conosciamo già le conseguenze ed i risultati: in realtà, per quasi vent’anni, l’esito della lotta tra Mary ed Elisabetta è stato costantemente incerto. Alcune delle congiure organizzate per portare Mary Stuart al trono avrebbero potuto davvero minacciare la vita di Elisabetta e in diverse occasioni il colpo l’ha mancata di pochi millimetri. Per primi insorgono i nobili cattolici capeggiati da Northumberland, portando tutto il Nord in rivolta e solo a fatica la regina riottiene il controllo della situazione. Segue poi l’intrigo di Norfolk, nel quale il fior fiore della nobiltà inglese, tra cui molti amici di Elisabetta, appoggiano il suo piano di sposare la regina scozzese. Con la mediazione del fiorentino Ridolfi truppe spagnole e francesi sono già pronte a scendere in guerra per sostenere questa causa ma, ahimè, il vento, il tempo e il mare bloccano il piano. Un’altra volta ancora la fortuna non assiste la Stuart: Don Giovanni d’Austria, figlio naturale di Carlo V, fratellastro di Filippo II di Spagna aspira alla mano della prigioniera ed ha già preparato un esercito in Olanda ed ha tutti i piani pronti per liberarla, quando viene colpito da una gravissima malattia che lo porta in poco temo alla morte. Ecco un altro fattore determinante nella vita di Mary Stuart: la fortuna, dopo la morte del primo marito in Francia, non è mai stata dalla sua parte. Tremendamente vere sono le parole pronunciate da Norfolk sul patibolo, poco prima della sua esecuzione:

“Nulla di ciò che viene da lei o per lei avviato va mai a finir bene.” (S.Zweig, Maria Stuarda, pag 302)

Mary durante la sua cattività in Inghilterra - dipinto di Nicholas Hilliard, 1578
Mary durante la sua cattività in Inghilterra – dipinto di Nicholas Hilliard, 1578

(Fonte: Maria Stuarda, Stefan Zweig)

Parte 1: L’infanzia e l’adolescenza in Francia
Parte 2: Il ritorno in Scozia ed il secondo matrimonio
Parte 3: L’assassinio di Davide Rizzio
Parte 4: L’omicidio di Darnley
Parte 5: Il terzo matrimonio e la prigionia a Loch Leven
Parte 6: La prigionia inglese
Parte 7: Verso la fine

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